Un romanzo sull’occupazione
delle terre nella Locride, nell’agro di Bovalino, a Casignana, nel 1922, sui
terreni della principessa di Roccella, amministrati e di fatto appropriati da
un ex amministratore ora piccolo proprietario in proprio. Non un’occupazione
di terre, non una rivoluzione: la distribuzione di terre incolte per legge, la
legge Visocchi del 1921, che
dopo la guerra del 15-18 lasciava ai reduci libera l’occupazione delle terre
incolte.
E l’anno dopo la revoca della distribuzione, per “incapacità manifesta” di
coltivare degli assegnatari, ma di fatto per l’aggrumarsi della nube fascista –
Mussolini nell’ottobre 1922 decideva di cavalcare il fascismo.
Ci sarà la repressione –
intanto c’è stata la marcia su Roma – ma il racconto non è per questo scontato:
La Cava lo rianima con personaggi e accadimenti non stereotipi di questo tipo
di letteratura. I contadini sono guidati dal sindaco socialista. Non ci sono
solo le complicità dello Stato con i ricchi, ci sono anche le liti tra i contadini
e i pastori. E i traditori. Il maresciallo dei carabinieri invece si batte per
i contadini. Il “feudo”, ubbia storica in Calabria, prende qui la sua
dimensione, di abbandono e frazionamento, di sminuzzamento, degli interessi e
degli orizzonti.
Le passioni, che ci sono,
vengono stemperate con le indecisioni, i confronti, i cambiamenti di umore e di
vedute, qualche opportunismo anche, ma non dirimente. I personaggi
sono quelli della vicenda reale: i socialisti, tutti professionisti, i dottori,
Staltari, Evoli, il farmacista Sculli. Uno spaccato – un quadro socio-economico
– della vita di paese un secolo fa che è un documento di storia: le illusioni, le accensioni, le
cautele, le crudezze, gli accomodamenti, per un substrato di odrdine e di
subordinazione vecchio di secoli.
Un docuromanzo del 1974, pubblicato da Einaudi
nel 1975. Recensito da Magris. Con una prefazione eccellente di Fofi. Anche
entusiasta, lamentando che Einaudi, editore di La Cava, abbia affossato allora,
per scarsa convinzione questo primo caso in Italia di romanzo-saggio che
avrebbe avuto tanta fortuna di pubblico.
Un
racconto avvincente, benché volutamente dimesso, privo di quasi tutti gli
ingtedienti del raccontare, i buoni, i cattivi, le gesta, i tradimenti, le
minacce, le collere, la violenza fisica.La narrazione è piana, giocata sulle
sfumature, di un’oggettivazione al limite del dettaglismo. Ma, così, i
personaggi e le vicende non sono scontati. Casignana è un paesino minuscolo,
che vanta un Borgo antico, recuperato e restaurato con la legge dei “centri storici”,
e una Villa romana scoperta durante i lavorio sessant’anni fa della strada
litoranea, il più imoprtante lascito romano nella Locride. Come dire, un borgo
pacificato.
La lettura commuove per la contemporaneità dei
fatti di Melissa, altro nome calabrese illustre per l’occupazione delle terre,
nel secondo dopoguerra, finita questa in tragedia, che oggi (non) si illustra
per il salvataggio di 49 migranti naufragati alla sua marina, Torre di Melissa
– tre più della Sea Watch che invece riempie le cronache e commuove, si spera
sinceramente, i bennati. I melissesi, senza polemiche, e senza navi né fondi
dello Stato, li hanno salvati tutti, anche la madre che non sapeva nuotare e
non voleva mollare il bambino, e il bambino rimasto incastrato nella chiglia
del barcone. Le occupazioni di terre non riescono, ma lo spirito è gagliardo.
Mario La Cava, I fatti di Casignana,
Rubbettino, pp. 213, ril. € 16
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