giovedì 17 gennaio 2019

Il populismo viene da sinistra - 2

Anche sostanzialmente, si può vedere il populismo, in Francia, in Italia e in Polonia, come l’esito del fallimento della sinistra. Una reazione alla sinistra, ma per non avere saputo – o potuto – essere di sinistra. Non da ora, e non in misura irrilevante, le circoscrizioni operaie della cintura parigina votano Le Pen, quelle del triangolo Lombardia-Veneto-Emilia votano Lega e ora anche 5 Stelle.
È l’esito della cosiddetta anti-politica, che ha imperversato ultimamente anche sul versante liberale. Sotto le forme surrettizie dell’anticasta e dell’anticorruzione. In Europa. Mentre in America la stessa polemica sta sortendo effetti contrari: ha portato alla politica molti giovani, alle ultime presidenziali, tradizionalmente lontani dal voto, e questo soprattutto per l’effetto Sanders alle primarie democratiche, il populista dichiarato di sinistra. Che però non nasconde simpatie socialiste – anche perché ora il socialismo non è più tabù, l’elemento fondante dell’“eccezionalismo americano”, e anzi se ne parla come di un’alternativa migliore all’individualismo. .
Lo storico americano Barry Eichengreen, analizzando “The Populist Temptation”, la fa risalire ai Ludditi della prima industrializzazione, alla socialdemocrazia tedesca post-unitaria, e ai partiti Populista e Greenback protagonisti elettorali nell’America di fine Ottocento. In aggiunta alla deriva razzista e demagogica rifluente che più caratterizza il populismo, dal Ku Klux Klan negli anni 1920 a Huey Long nel decennio successivo, e a vari altri personaggi, fino a Trump. Per una miscela “corrosiva” e “anti-intellettuale”, anti-specialisti, che sintetizza in: anti-elitismo, autoritarismo, nativismo, nazionalismo bellicoso, demagogia, distruzione. 
La spinta populista di sinistra lo stesso Eichengreen fa invece motore delle grandi riforme “conservatrici”, quella di Bismarck negli anni 1880-1990, e quella di Franklin Roosevelt negli anni 1930. Due esperienze in cui è stato l’establishment a farsi carico delle esigenze populiste, e a meglio esaurirle. Alle quali si potrebbe aggiungere quella, di destra dichiarata più che conservatrice, di George Wallace, il governatore Democratico dell’Alabama negli anni 1960-1980, che lottava per i poveri ma anche contro la desegregazione razziale.
C’è, evidente, una confusione di motivi e obiettivi nel populismo. Il nazionalismo per esempio, o sovranismo oggi, si scontra in Italia con leggi che favoriscono il lavoro e il prodotto stranieri, a parità di qualità, come nella legge contro le automobili italiane – contro le emissioni di anidride carbonica, ma di fatto mirate contro le auto prodotte in Italia. Più che di nazionalismo, di protezione degli interessi nazionali, il sovranismo è una forma di sciovinismo, di rabbia incontrollata e inconcludente. Il punto nodale è l’egualitarismo, puro e semplice: non a ognuno secondo  suoi meriti e i suoi bisogni, ma un po’ a tutti.
(continua)

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