Un
libro del 2000 presto introvabile, benché per ogni aspetto notevole e forse un
capolavoro – come ogni opera, musicale e musicologico, di De Simone, di cui
Napoli purtropo trascura la qualità sempre eccelsa, di studi e composizioni - compreso, purtroppo, Peppe Barra, che la
“Cantata dei pastori” da De Simone resuscitata riprende a ogni Natale.
Profusamente e bene illustrato da Gennaro Vallifuoco. La ricostituzione e l’uso,
teatrale e quotidiano, miracolosi di un linguaggio misto di italiano (toscano)
e napoletano (popolare). Introdotti da
un saggio avvincente sulla genesi e la trasformazione dell’opera, nel quadro
della teatralità napoletana – correggendo anche alcune conclusioni di Croce,
per documenti emersi successivamente. Firmata con una lunga colonna di
anagrammi sull’autore, da “Demostene Erborio” a “Sodomito ben erbe”, a sottolineare
la giocosa creatività della ricostituzione. E seguita da una silloge di testi
in tema, di Edoardo Boutet, Croce, Simoni, Gigli, Lorenzo Minervini.
Croce
ricorda “il siciliano Andrea Perrucci” nel 1699, l’anno stesso della “Cantata
dei pastori”, per “la più compiuta trattazione della commedia dell’arte nel suo
libro «Dell’arte rappresentativa
meditata e all’improvviso»”. Il titolo originario della cantata, sotto lo
pseudonimo di “Casimiro Ruggiero Ugone”, era “Il Vero Lune tra le ombre ossia la
Nascita del Verbo umanato”.
Croce
ricorda anche, ne “I teatri di Napoli”, che il dramma è stato “ritualmente
rappresentato la notte di Natale in parecchi teatri di Napoli dei più
popolari”. Lui steso ricorda di averlo ascoltatao “al Mercadante e alla
Partenope in via Foria, alla Fenice in piazza Municipio e al san Ferdinando a
Pontenuovo”. E ne fa una lunga sintesi. Pur avvertendo che le rappresentazioni
variavano di fatto l’una dall’altro – per una descrizione delle rappresentazioni
rimandando a un articolo di F. Petriccione sul “Corriere della sera” di Milano
nel 1941, il 23 dicembre, e al volume “Sua eccellenza San Carlino”, di E.Boutet,
1901.
Di
suo Croce ricordava “La rappresentazione procedeva tra frequenti interruzioni,
e motti, e dialoghi,che si ripercotevano dai palchi al proscenio ,per opera di
curiosi venuti ad osservare il grottesco spettacolo, e di giovinastri, che facevano
il chiasso. Ma nell’attenzione intensa di coloro che riempivano il lubbione (lombardo
per loggione, n.d.r.) e le ultime file della platea, nei loro sforzi per
ottenere il silenzio, nelle loro esclamazioni d’impazienza e di sdegno, era la
protesta di una fantasia e di un sentimento
conservatisi costanti nei secoli. E a me pareva di avere intorno la plebe
napoletana del Seicento, che seguiva quei drammi ora con le lacrime agli occhi
e compunta di devozione ora abbandonandosi e franche risate” con Stazzullo e
Sarchiapone.
Roberto
De Simone, La cantata dei pastori
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