Brexit è un problema per la Ue, è un
dramma per la Gran Bretagna, è una tragedia per il partito Conservatore britannico.
Che, non si ricorda, ma ha avuto (provocato) le sue crisi maggiori sull’Europa,
se starci e come. Erede di Churchill, che ebbe la prima idea postbellica di una Europa unita.
È stato Edward Heath, primo ministro conservatore, a portare
la Gran Bretagna nella Ue. Salvo poi perdere le elezioni. Margaret Thatcher,
la “dama di ferro”, inciampò e cadde sulla Ue: il partito la costrinse ad
aderire allo European Exchange Rate Mechanism, l’accordo propedeutico all’euro,
e quando si oppose al passo successivo, dell’unione monetaria, la silurò. Il suo
successore, John Major, cadde sull’euro. Firmò il trattato di Mastricht, come
il partito voleva, con la clausola specialissima per Londra, dell’ opt-out, il diritto a derogare dalle
norme europee, in materia monetaria e sociale. Ma fu travolto dal crollo immediatamente
successivo alla firma della sterlina per l’attacco di Soros (in contemporanea con l’attacco sulla lira), e nell’occasione molti conservatori gli rifnacciarono l’accordo,
pur privilegiato, di Maastricht. Ora tocca a May.
Più che una questione nazionale, l’Europa
sembra un perpetuo regolamento di conti all’interno del partito Conservatore.
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