Segna il passo l’inchiesta senese sul
Monte dei Paschi, quando invece le colpe sono chiare a tutti e pesanti. Della cattiva
gestione già sanzionata, di Mussari, vecchia nomenklatura Pci, ma anche della successiva, fino all’entrata
del Tesoro.
L’incredibile storia del Monte dei Paschi
non è quella dei sei secoli di continuità, ma della gestione della banca quando
si sapeva che era materialmente fallita. Con ben due aumenti di capitale, per
otto miliardi di euro, in appena un anno, da giugno 2014 a giugno 2015, accompagnati
dal trionfale rimborso dei prestiti del Tesoro e da report lusinghieri, finiti
nel nulla. Più un terzo tentato nel 2016 e fortunatamente fallito.
Un furto di risparmio mai visto. Poiché
gli amministratori degli aumenti, dopo la chiusura del 2011 con quasi cinque miliardi
di perdite, Profumo presidente e Viola amministratore delegato, sapevano che la
banca doveva andare in amministrazione straordinaria, non poteva reggersi sui
mezzi propri. Una gestione amministrativa che disponesse con criteri oggettivi
di debiti e crediti, per appianare la gestione ordinaria.
Si è invece fatto finta di nulla. Cioè
si è coperto il disastro, con la complicità evidente, per quanto impensabile,
della Banca d’Italia. E forse in obbedienza alla vecchia politica locale, compromissoria
- giudici evidentemente compresi. Per diluire il danno si sono rubati otto miliardi,
a 40 o 50 mila risparmiatori. Impensabile, ma è avvenuto.
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