Il processo farsa è quello di
Calciopoli. Che non può essere definito altrimenti. Quintali di registrazioni
telefoniche, di cui gli originali per la gran parte sono stati distrutti, e
nessuna prova, di nessun reato: partite o sorteggi arbitrali truccati, nessuna
forma di corruzione, neanche il biglietto allo stadio, solo Moggi che parla con
tutti. Cioè sì, si può, poi ci pensano i Carabinieri, nei secoli fedeli, a distruggere o occultare le registrazioni.
Un tipico processo “napoletano”,
da ammuìna. Far finta di fare, con clangore, per non fare. Da parte di una
Procura che aveva accumulato, disse il Procuratore Capo Cordova di cui Napoli
subito si liberò, due milioni di denunce e reati intonsi, mai aperti da nessun sostituto.
Una napoletanata facile, potendo contare sull’Italia non-juventina, due terzi
del totale - uno legge Pistocchi oggi, l’interista ultrà cui Berlusconi confida
le telecronache delle partite, e rabbrividisce: dire odio è dire poco. E infatti
i vice di Lepore che sponsorizzarono le intercettazioni abusive e selettive del colonnello
Auricchio, Beatrice e Mancuso, fecero immediata carriera. Gestita in un clima naturalmente
da commedia, sia in Procura che in Tribunale. Dove la giudice Palaja dovette
subire due attacchi della Procura di Giandomenico Lepore, in udienza e al Csm,
e infine condannare Moggi.
Un processo anche “piemontese”.
Degli eredi Agnelli, il lato sorelle e nipoti Elkann, che non difesero la Juventus e anzi se
ne dissero scandalizzati. Volevano liberarsi di Moggi e Giraudo, di una gestione
che, complice anche la quotazione del club in Borsa, avrebbe potuto portarlo
fuori dal patrimonio familiare. L’ultimo errore di Umberto, che le sorelle non
amavano e un po’ disprezzavano.
Era l’ annus
horribilis della “famiglia”, con la Fiat al fallimento, prima di Marchionne,
che la Fiat ha reinventato.
Era anche l’anno in cui bisognava
decidere la successione dell’Avvocato all’accomandita di famiglia, e le sorelle
erano sempre coalizzate contro Umberto e i suoi figli – avevano accettato Giovannino,
sapendolo malato, ma mai Alberto e la sorella. Giraudo e Moggi, vista la mala
parata, si sono sottratti al processo come meglio hanno potuto.
Così la Juventus perdette
anche due scudetti – si può dire la rivincita infine di Napoli? L’astio della “famiglia”
era tale che non si oppose nemmeno alla privazione dello scudetto 2004-2005,
che Capello aveva conquistato sul campo. Come quello del resto 2005-2006, che
però, a differenza di quest’ultimo, nessun giudice napoletano contestava.
La proprietà ora tenta di
rifarsi in sede civile – rigettata. E di nuovo in sede sportiva: sarà
rigettata. Per un motivo semplice: è la stessa giudicatura. Molto partenopea,
alla Cassazione e in sede sportiva.
Pasta e Sironi mettono in
rilievo l’aspetto torinese della vicenda, piemontese. Trascurando
invece, probabilmente per non essere “scorretti”, o assimilati ai “forza
Vesuvio”, il suo lato “napoletano”. Del processo inventato da un colonnello dei
Carabinieri napoletano, tipo Scafarto, e da due giudici napoletani che, senza
lavorare, hanno con Calciopoli fatto una carriera immediata e memorabile.
Mario Pasta-Mario Sironi, Il processo farsa, Guerini e Associati,
pp. 142 € 12,50
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