venerdì 25 gennaio 2019

Napoli-Juventus 2-0, a Calciopoli


Il processo farsa è quello di Calciopoli. Che non può essere definito altrimenti. Quintali di registrazioni telefoniche, di cui gli originali per la gran parte sono stati distrutti, e nessuna prova, di nessun reato: partite o sorteggi arbitrali truccati, nessuna forma di corruzione, neanche il biglietto allo stadio, solo Moggi che parla con tutti. Cioè sì, si può, poi ci pensano i Carabinieri, nei secoli fedeli, a distruggere o occultare le registrazioni. 
Un tipico processo “napoletano”, da ammuìna. Far finta di fare, con clangore, per non fare. Da parte di una Procura che aveva accumulato, disse il Procuratore Capo Cordova di cui Napoli subito si liberò, due milioni di denunce e reati intonsi, mai aperti da nessun sostituto. Una napoletanata facile, potendo contare sull’Italia non-juventina, due terzi del totale - uno legge Pistocchi oggi, l’interista ultrà cui Berlusconi confida le telecronache delle partite, e rabbrividisce: dire odio è dire poco. E infatti i vice di Lepore che sponsorizzarono le intercettazioni abusive e selettive del colonnello Auricchio, Beatrice e Mancuso, fecero immediata carriera. Gestita in un clima naturalmente da commedia, sia in Procura che in Tribunale. Dove la giudice Palaja dovette subire due attacchi della Procura di Giandomenico Lepore, in udienza e al Csm, e infine condannare Moggi.
Un processo anche “piemontese”. Degli eredi Agnelli, il lato sorelle e nipoti Elkann, che non difesero la Juventus e anzi se ne dissero scandalizzati. Volevano liberarsi di Moggi e Giraudo, di una gestione che, complice anche la quotazione del club in Borsa, avrebbe potuto portarlo fuori dal patrimonio familiare. L’ultimo errore di Umberto, che le sorelle non amavano e un po’ disprezzavano. 
Era l’ annus horribilis della “famiglia”, con la Fiat al fallimento, prima di Marchionne, che la Fiat ha reinventato.
Era anche l’anno in cui bisognava decidere la successione dell’Avvocato all’accomandita di famiglia, e le sorelle erano sempre coalizzate contro Umberto e i suoi figli – avevano accettato Giovannino, sapendolo malato, ma mai Alberto e la sorella. Giraudo e Moggi, vista la mala parata, si sono sottratti al processo come meglio hanno potuto.   
Così la Juventus perdette anche due scudetti – si può dire la rivincita infine di Napoli? L’astio della “famiglia” era tale che non si oppose nemmeno alla privazione dello scudetto 2004-2005, che Capello aveva conquistato sul campo. Come quello del resto 2005-2006, che però, a differenza di quest’ultimo, nessun giudice napoletano contestava.
La proprietà ora tenta di rifarsi in sede civile – rigettata. E di nuovo in sede sportiva: sarà rigettata. Per un motivo semplice: è la stessa giudicatura. Molto partenopea, alla Cassazione e in sede sportiva.
Pasta e Sironi mettono in rilievo l’aspetto torinese della vicenda, piemontese. Trascurando invece, probabilmente per non essere “scorretti”, o assimilati ai “forza Vesuvio”, il suo lato “napoletano”. Del processo inventato da un colonnello dei Carabinieri napoletano, tipo Scafarto, e da due giudici napoletani che, senza lavorare, hanno con Calciopoli fatto una carriera immediata e memorabile.
Mario Pasta-Mario Sironi, Il processo farsa, Guerini e Associati, pp. 142 € 12,50


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