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venerdì 4 gennaio 2019

Orwell fa il povero

Una sociologia più che un racconto o un’esperienza di vita. Ma più una prova narrativa: Orwell voleva essere poeta e scrittore invece che intellettuale e politico, e con questa prima opera, a trent’anni, si confermò nella sua vocazione.
In forma di autobiografia, in realtà la bohème del futuro Orwell, Eric Arthur Blair, a Parigi e Londra è tutta costruita. Di un picarismo urbano con forti connotazioni sociali, e anche qualche tratto, labile, autobiografico, ma soprattutto è d’invenzione. 
Reduce dalla Birmania dove aveva fatto il poliziotto, il futuro Orwell ritornò in famiglia a Southworld nel Suffolk, dove riprese i rapporti con i vecchi compagni di Eton e Cambridge Ma per pochi mesi: presto si stabilirà a Londra, a Portobello Road, per dedicarsi alla scrittura. Da Portobello faceva incursioni nell’East End povero, camuffandosi anche da povero, col nome fittizio di Burton, per raccogliere esperienze e materiali, il suo ideale di narratore allora essendo Jack London, “Il popolo degli abissi”. Dell’East End farà uso nel suo primo saggio pubblicato, “The Spike”, e nella seconda parte di questa sua prima opera narrativa.
Non prose autobiografiche, se non per aspetti minimi, di circostanza, ma reportages in forma di racconto in prima persona. I travestimenti nell’East End dureranno cinque anni. Durante i quali il futuro Orwell fece anche un soggiorno a Parigi, all’inizio del 1928. Patrocinato socialmente e finanziariamente da una zia materna, che vi risiedeva. A Parigi cercò esperienze analoghe a quelle londinesi, partendo dall’alloggio, che prese in ambiente operaio, il quinto arrondissement. Ma vi passò un anno di svolta per le sue ambizioni di scrittore. Lavorò per “Le Monde”, allora giornale politico-letterario, diretto da Barbusse, e per “Le Progrès Civique”, un periodico del Cartello delle Sinistre. Da Parigi pubblicò anche a Londra, sulla rivista “Adelphi”, di John Middleton Murry, il marito di Katherine Mansfield, e Max Ploughman, di orientamento laburista, il saggio “The Spike”, il rifugio, una sorte di mensa-dormitorio Caritas. Che poi, reimpostato e ridotto, includerà nella parte londinese di questo presunto memoir. La quale mostra, con poca finta narrativa, il progetto sociologico. Con una piccola guida ai ripari di Londra per i barboni senzatetto. E un capitolo sullo slang , delle periferie povere e dei mendicanti, la passione neologistica che culminerà in “1984”.
Il soggiorno parigino finì dopo un anno per un’infezione ai polmoni che lo costrinse al ricovero – l’esperienza dell’ospedale diventerà un suo classico nel 1946, quando ne farà materia del saggio suo forse più famoso, “Come muoiono i poveri”, sull’ospedalizzazione nel continente, e sulla “nurse” inglese, la vera anima di un buon ospedale. Dimesso dall’ospedale si scoprì derubato e senza soldi. Da qui l’esperienza, forse inventata, che prende i primi due terzi di questo suo primo libro di narrativa, approntato quattro anni dopo, nel 1932: un lavoro da plongeur, sciacquino, in un ristorante parigino, con molta fatica, sudore e sporcizia, molti italiani – camerieri, maîtres, direttori – e  i russi, normalmente truffatori, allora d’obbligo a Parigi.
Non appetente. Il libro fu rifiutato da molti, tra gli altri anche da T.S.Eliot. Infine pubblicato da un editore giovane, Gollancz, a titolo quasi gratuito – liquidò l’autore con cinquanta sterline. Doveva intitolarsi “A Scullion’s Diary”, diario di uno sguattero. Poi “The Confessions of a dishwasher”, di un lavapiatti. Fu pubblicato col titolo di Gollancz senza echi subito dopo la Befana del 1933.
Una narrativa tra il sociale e il picaresco. Sulla fame, la fame, la fame. Come tesaurizzare cinque franchi o due scellini. Impegnando anche gli stracci. Materiali e situazioni inappetenti. Che tuttavia Orwell riesce ad animare: il debutto non lo segnalerà nella scena letteraria, ma lo confermerà nei suoi propositi. E si può riprendere oggi con gusto, benché senza personaggi o passi memorabili.   
George Orwell, Senza un soldo a Parigi e Londra, Oscar, pp. 240 € 13


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