“L’elogio dell’Unione Europea
e della moneta unica”, pronunciato da Mario Draghi un mese fa a Pisa, parte con
grosse riserve. Per primo sull’euro, al primo capoverso, ricordando che la
moneta unica compie vent’anni, sulle asimmetrie della sua costruzione:
“L’unione monetaria è stata
un successo sotto molti punti di vista. Dobbiamo allo stesso tempo riconoscere
che non in tutti paesi sono stati ottenuti i risultati che ci si attendeva, in
parte per le politiche nazionali seguite, in parte per l’incompletezza
dell’unione monetaria che non ha consentito un’adeguata azione di
stabilizzazione ciclica durante la crisi. Occorre ora disegnare i cambiamenti
necessari perché l’unione monetaria funzioni a beneficio di tutti i paesi e
realizzarli il prima possibile, ma spiegandone l’importanza a tutti i cittadini
europei”.
In termini criptici, ma di senso
univoco, spiega poi come la rigidità dell’Euro, dell’Unione monetaria, abbia punito
alcuni paesi – leggi l’Italia: “In assenza di presidi adeguati a livello
dell’area dell’euro, i singoli paesi dell’unione monetaria possono essere
esposti a dinamiche autoavveranti nei mercati del debito sovrano. Ne può
scaturire nelle fasi recessive l’innesco di politiche fiscali pro-cicliche,
producendo così un aggravamento della dinamica del debito, come nel 2011-12. Di
norma, gli oneri del debito sovrano devono scendere in una recessione, ma in
quella circostanza le economie di dimensione pari complessivamente a un terzo
del pil dell’area registrarono una correlazione positiva che si autoalimentava
fra gli oneri del loro debito e il grado di avversione al rischio. La carenza
di una azione di stabilizzazione macroeconomica incise sulla crescita e sulla
sostenibilità del debito. Sono quindi i paesi strutturalmente più deboli ad
avere più bisogno che l’Uem disponga di strumenti che prima di tutto diversifichino
il rischio delle crisi e che poi ne contrastino l’effetto nell’economia”.
Il rimedio? “Occorre ricreare
il necessario margine per interventi di bilancio in caso di crisi”. Perché “i
bilanci pubblici nazionali non perderanno mai la loro funzione di strumento
principale nella stabilizzazione delle crisi”. Non basta: “E ancora non basta: occorre un’architettura
istituzionale che dia a tutti i paesi quel sostegno necessario per evitare che
le loro economie, quando entrano in una recessione, siano esposte al comportamento
prociclico dei mercati”.
Vasto programma, come si
vede. Di cui non si rileva traccia, a Bruxelles o nelle capitali che contano,
cioè Berlino e la stessa Francoforte dove Draghi ha sede. Nel suo campo
specifico, il presidente della Banca centrale europea bacchetta i ritardi e le riserve
sull’unione bancaria e del mercato dei capitali: “L’inazione su entrambi i
fronti accentua la fragilità dell’unione monetaria proprio nei momenti di
maggiore crisi; la divergenza fra i paesi aumenta”.
L’Europa arranca nei mercati
mondiali, e il motivo è chiaro a Draghi: “Per affrontare le crisi cicliche future,
occorre che i due strati di protezione contro le crisi – la diversificazione
del rischio attraverso il sistema finanziario privato da un lato, il sostegno
anticiclico pubblico attraverso i bilanci nazionali e la capacità fiscale del
bilancio comunitario dall’altro – interagiscano in maniera completa ed efficiente”.
Un elogio? Preoccupato: “Abbiamo la necessità di fare
questi cambiamenti il più presto possibile”.
Mario Draghi, Elogio dell’Unione Europea, Lectio magistralis in occasione del conferimento della Laurea honoris
causa in Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il 15 dicembre 2018
Nessun commento:
Posta un commento