lunedì 28 gennaio 2019

Viva l’euro, ma cambi presto


“L’elogio dell’Unione Europea e della moneta unica”, pronunciato da Mario Draghi un mese fa a Pisa, parte con grosse riserve. Per primo sull’euro, al primo capoverso, ricordando che la moneta unica compie vent’anni, sulle asimmetrie della sua costruzione:
“L’unione monetaria è stata un successo sotto molti punti di vista. Dobbiamo allo stesso tempo riconoscere che non in tutti paesi sono stati ottenuti i risultati che ci si attendeva, in parte per le politiche nazionali seguite, in parte per l’incompletezza dell’unione monetaria che non ha consentito un’adeguata azione di stabilizzazione ciclica durante la crisi. Occorre ora disegnare i cambiamenti necessari perché l’unione monetaria funzioni a beneficio di tutti i paesi e realizzarli il prima possibile, ma spiegandone l’importanza a tutti i cittadini europei”.
In termini criptici, ma di senso univoco, spiega poi come la rigidità dell’Euro, dell’Unione monetaria, abbia punito alcuni paesi – leggi l’Italia: “In assenza di presidi adeguati a livello dell’area dell’euro, i singoli paesi dell’unione monetaria possono essere esposti a dinamiche autoavveranti nei mercati del debito sovrano. Ne può scaturire nelle fasi recessive l’innesco di politiche fiscali pro-cicliche, producendo così un aggravamento della dinamica del debito, come nel 2011-12. Di norma, gli oneri del debito sovrano devono scendere in una recessione, ma in quella circostanza le economie di dimensione pari complessivamente a un terzo del pil dell’area registrarono una correlazione positiva che si autoalimentava fra gli oneri del loro debito e il grado di avversione al rischio. La carenza di una azione di stabilizzazione macroeconomica incise sulla crescita e sulla sostenibilità del debito. Sono quindi i paesi strutturalmente più deboli ad avere più bisogno che l’Uem disponga di strumenti che prima di tutto diversifichino il rischio delle crisi e che poi ne contrastino l’effetto nell’economia”.
Il rimedio? “Occorre ricreare il necessario margine per interventi di bilancio in caso di crisi”. Perché “i bilanci pubblici nazionali non perderanno mai la loro funzione di strumento principale nella stabilizzazione delle crisi”. Non basta: “E ancora non basta: occorre un’architettura istituzionale che dia a tutti i paesi quel sostegno necessario per evitare che le loro economie, quando entrano in una recessione, siano esposte al comportamento prociclico dei mercati”.
Vasto programma, come si vede. Di cui non si rileva traccia, a Bruxelles o nelle capitali che contano, cioè Berlino e la stessa Francoforte dove Draghi ha sede. Nel suo campo specifico, il presidente della Banca centrale europea bacchetta i ritardi e le riserve sull’unione bancaria e del mercato dei capitali: “L’inazione su entrambi i fronti accentua la fragilità dell’unione monetaria proprio nei momenti di maggiore crisi; la divergenza fra i paesi aumenta”.
L’Europa arranca nei mercati mondiali, e il motivo è chiaro a Draghi: “Per affrontare le crisi cicliche future, occorre che i due strati di protezione contro le crisi – la diversificazione del rischio attraverso il sistema finanziario privato da un lato, il sostegno anticiclico pubblico attraverso i bilanci nazionali e la capacità fiscale del bilancio comunitario dall’altro – interagiscano in maniera completa ed efficiente”.
Un elogio?  Preoccupato: “Abbiamo la necessità di fare questi cambiamenti il più presto possibile”.
Mario Draghi, Elogio dell’Unione Europea, Lectio magistralis in occasione del conferimento della Laurea honoris causa in Economia della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il 15 dicembre 2018

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