mercoledì 27 febbraio 2019

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (389)

Giuseppe Leuzzi


Solinas, nome che più sardo non si può, il primo autonomista sardo al potere dopo decenni, è l’uomo della Lega. Il primo partito della Sardegna è la Lega – non in percentuale, il primo nominalmente è il partito Democratico, ma sì nel sentiment. Si realizza la modesta proposta del nostro “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992, di un trasferimento in massa del Sud al Nord. O è l’inverso, il Nord che finalmente occupa il Sud, per davvero?

Solinas del resto, segretario del partito Sardo d’Azione, è già senatore della Lega, da marzo.  Mentre Salvini, il capo della Lega, diventava senatore della Calabria – subito dichiarando: “Adoro il peperoncino e la ‘nduja”, che i calabresi non usano, non specialmente. Ma della Calabria Salvini è stato dichiarato senatore perché, delle quattro circoscrizioni in cui era candidato, è stata quella dove ha avuto meno voti. E perderà il seggio, a vantaggio della candidata di Forza Italia, Fulvia Caligiuri, la presidente di Confagricoltura Cosenza, dopo il ricalcolo del voto – diventando senatore del Lazio, la seconda circoscrizione che gli ha dato meno voti?

È mafia anche in Olanda. Alessandra Coppola documenta sul “Corriere della sera” la potentissima industria dell’ecstasy, una miniera d’oro criminale. Che in un paese piccolo densissimameme popolato si penserebbe non clandestina. Ma due libri la consacrano, “Macro Maffia”, di Wouter Laumasn, e “Maffia Paradijs”, di Koen Voskuil, due giornalisti. E non la limitano alle pizzerie “italiane”, né alla ‘ndrangheta – l’inchiesta calabrese “Pollino” ha portato due mesi fa a molti arresti ma senza effetti sul business.
  
“La stagione della caccia”, il film di Rai 1 sulla storia pirandelliana di Camilleri, della vendetta inacidita, è praticamente parlato in siciliano, senza sottotitoli. Si parla molto siciliano e napoletano in televisione, specie nei serial. Non lombardo o veneto, come voleva la Lega. Non gli conviene? Non si capirebbero – gli altri e loro stessi?

Grecale, il vento che ha ucciso nel week-end tante persone e sconnesso i trasporti, “la bora del Sud”, periodico e violento, tre giorni di freddo e gorghi, tortuosi, imprevedibili, così battezzato perché verrebbe dalle isole ioniche della Grecia, tra Zante e Corfù. è in realtà l’effetto dell’aria fredda del Nord Europa che si scatena al contatto con i climi miti del Sud. Correnti più violente perché vi penetrano da una sorta di gola, la strettoia del Quarnaro in Croazia, “dove l’aria si comprime e accelera”, dicono i climatologi. Oppure s’infilano tra il Montenegro e l’Albania. Dal Quarnaro il grecale si abbatte sulle Marche, l’Abruzzo e il basso Lazio, superando agevolmente l’Appennino, montagna molle. Dalle isole ioniche sulla Puglia e la Calabria, ionica e tirrenica – ma si fa sentire anche sulla Sicilia orientale, e fino a Malta.
Un’eredità “greca” indigesta – solo dannosa. O si convalida l’ipotesi nordica che i greci erano iperborei?

Il populismo dei ricchi
Il populismo è dei ricchi? In Italia sì, il suo principio e fondamento è la Lega. Che spopola a partire dalle regioni più ricche, la Lombardia e il Veneto, e dilaga in Piemonte, Emilia-Romagna, Toscana, Liguria. Ora cresce anche al Sud, in Sardegna dopo l’Abruzzo, ma con jiuicio. A un Sud comunque che la recepisce per il suo messaggio elitista, contro le invasioni, eccetera.
Si vuole l’ondata politica populista legata al risentiemnto. Dei poveri o marginali, dei licenziati, dei disoccupati di lungo periodo, dei giovani lasciati fuori dalla globalizzazione, dalla “finanziarizzazione”, dal capitalismo selvaggio che si erige a mercato. Questo è certamente il caso del coagulo britannico che ha portato alla Brexit, dei gilets jaunes francesi, di molto movimenti di eestra e estrema destra in Grecia e Spagna, oltre che nell’Est Europa. Mentre nei paesi più ricchi, Germania, Olanda, Svezia, è il nazionalismo identitario, quando non razzismo, contrio l’immigrazione.

Più inetti che poveri
Quanto se la passa male il Sud? Non molto. E quello che gli manca è tutto causa sui, per colpa sua. Per la politica specialmente, inefficiente e corrotta in troppi casi, al limite del ridicolo – l’attesa spasmodica del reddito di cittadinanza il Sud sempre avvinto alla politica come elemosina. E per la Funzione pubblica, l’amministrazione, la burocrazia, in massima parte essa stessa espressione dell’elettorato, tanto spietata nei dettagli minimi, le forme, le formule, quanto inerte o incapace nel fare, sia pure riparare una strada o un ascensore.
Di questo si può solo dire, non c’è il dato certo – ma è sotto gli occhi di tutti. Avendo visto “Le Iene” domenica anche in abbondanza e nello scoramento: un ospedale che spende il doppio di uno di Milano che ha il doppio dei suoi posti letto, 800 milioni per 400 posti letto contro 400 per 800, ha gli ascensori fuori uso, da anni, non ha i primari, ha crepe e sporcizia dappertutto, e una dirigenza nominata senza concorso che non sa o non vuole fare un bilancio, e non sa altro che pagarsi lo stipendio, a Locri, la prima colonia greca, sede di Tribunale e di Procura. Un ospedale creato dalla famiglia Laganà, Mario potente democristiano della corrente di Colombo, nominato nel 1980 fra i cento uomini più potenti d’Italia, poi passato alla Margherita e al Pd, e la figlia Maria Grazia, chirurgo nello stesso ospedale, e senatrice Pd. Che resistettero anche alla mafia: Maria Grazia è vedova di Francesco Fortugno, sindaco e primario dell’ospedale cittadino, professore a Medicina a Catanzaro, assassinato in qualità di vicepresidente del consiglio regionale.  
Locri dopo Polistena la domenica precedente. Un ospedale creato dalla passione e la cura nell’ultimo Novecento, non millenni fa, di due politici di eccezione, benché di opposto credo, il rosso Girolamo “Mommo” Tripodi e il nero Raffaele Valenzise. Si dice barbarie, l’insorgenza democratica non governata, anarcoide. Ma la stupidità esiste anch’essa, perché escluderla - ci sarà la stupidità di ritorno, come c’è l’analfabetismo di ritorno? Si diceva un tempo buttarsi la zappa sui piedi, avere un tesoro e buttarlo via. 
Sul reddito invece ci sono le cifre, la tabella Eurostat che compara il reddito (le cifre sono del 2016) in parità di potere d’acquisto (Pps), oltre che in valori tabellari. Calcola cioè il valore reale del reddito, in base a ciò che può comprare – la spesa alimentare, poniamo, in Calabria o in Sicilia, che costa meno della metà di quanto può costare a Roma o Milano, le quotazioni immobiliari, gli affitti, e i servizi, di utilità domestiche, sanitari, di trasporto, di svago:
L’Italia è uno dei paesi europei dove il reddito è meglio distribuito. Non ha nessuna delle aree europee, una ventina, con un reddito pro capite superiore a quello medio europeo del 150 per cento in più (nel Centro-West Londra la sperequazione arriva al 611 per cento). E nessuna delle aree europee con un reddito pro capite inferiore a quello medio europeo del 50 per cento e più – la Francia ne ha una, anche se è un dipartimento d’oltremare, nell’Oceano Indiano. In Italia il 62 per cento della popolazione vive con un con un reddito pro capite in Pps superiore a quello medio Ue. Vanno sopra Bolzano (149 per cento), la Lombardia (128), Aosta e Trento (122), l’Emilia-Romana (121), il Lazio (110), e altre cinque regioni. Vanno sotto Marche (93), Umbria e A bruzzo (84), e il S ud, fra il 60 e il 70 per cento del reddito medio Ue in Pps. Senza contabilizzare l’economia sommersa, che non paga l’Iva né i contributi sociali, e quella illegale.
Vanno meglio dell’Italia solo alcuni paesi piccoli, Belgio, Danimarca, Olanda, Austria, Lussemburgo, Finlandia, Svezia. E la Germania: 82 per cento sopra la media, la vecchia Germania Federale con Berlino. In Spagna solo il 36 per cento della popolazione aveva nel 2016 un reddito pro capite in Pps superiore a quello medio europeo. Peggio andava in Gran Bretagna: 43,7 milioni, su una popolazione di 65,6 milioni, erano sotto la media Ue, il 66,6 per cento. E in Francia: 48,1 milioni, il 72 per cento della popolazione, sotto la media europea.
Se il Sud si sapesse governare sarebbe sicuramente fuori dal sottosviluppo. Ma non è tutto: molto valore aggiunto delle produzioni locali va al Nord per insipienza.

C’è il Nero d’Avola, doc di Cermenate, Como, e il Primitivo di Manduria dop di Varese, che nei supermercati dominano gli scaffali, non c’è un Valpolicella di Canosa di Bari. Anche l’olio d’oliva si serve di Crescenzago, Milano, nelle tavole calde e paninerie del Sud. In bustina, dove il valore aggiunto è della bustina. Sui vini il valore aggiunto è la denominazione, magari conquistata con investimenti. Ma di fatto non controllata né protetta.

La stagione della caccia al povero
Emerge nel pirandellismo di Camilleri, manifesto su Rai 1 con “La stagione della caccia. C’era una volta Vigata” un distinto profumo di classismo. Che, essendo il regista e scrittore dichiaratamente e totalmente impegnato per le buone cause, va ascritto alla “sicilitudine”, a un certo modo di vedere la Sicilia (“Vigata” sta per Sicilia). Che si vuole ed è tradizionale, bozzettistico, e quindi virato al “povero e cornuto”. Col “galantuomo inetto ma simpatico”. Il mondo dei vecchi notabili. Cui è subentrato il “fascistone”, l’equivalente meridionale del “ghe pensi mi”, “faso tuto mi”, il decisore a tutto campo, conservatore e autoritario, in società e negli affetti, ma di grande cuore e intelligenza – prototipo Montalbano. Il filmato tv ne dà prova plastica. I marchesi sono stupidi ma non cattivi, i poveri invece lo sono, non stupidi ma cattivi.
È un topos, un difetto in realtà, della narrativa localistica? Tanto più ristretto l’orizzonte, o il fuoco dell’obiettivo, tanto più si riduce lo spazio con la speranza? È il difetto del localismo folklorico. Stringere il fuoco dell’obiettivo non implica aria fritta, o scadimento dell’immagine, anzi – Dostoevskij, allora, Flaubert? Il cliché sì.
Il successo così largo, malgrado la difficoltà linguistica, di queste narrazioni lo conferma: è una fruizione facile, la Sicilia che gli italiani si aspettano.

leuzzi@antiit.eu

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