Figlio
unico – La limitazione delle nascite è vecchia, all’impianto solo razionale, e poi
invece sempre problematica. La Francia ha maturato un forte vuoto demografico tra
Otto e Novecento col “sistema dei due figli”, per evitare la dispersione del
patrimonio familiare. Un gap cui ha
dovuto rimediare con continue ondate di immigrazione, dalle Indie francesi,
dall’Italia e la penisola iberica, e infine dal Nord Africa. Convertito in un
“sistema dei tre figli sotto la presidenza Pompidou negli anni 1970, per incrementare
la demografia, gli assegni familiari su tre figli portando al livello di uno stipendio
iniziale, quindi consentendo alla donna che volesse avere figli di non
lavorare.
Figon - Personaggio dimenticato ma emblematico della Francia dei “servizi
d’azione”. Dei servizi segreti che non si fanno scrupolo di uccidere - tuttora
attivi, in Africa e in Oceania. Se ne parlò molto alla sua morte, a metà
gennaio del 1966, poi è scomparso dalla storia e dalla memoria. Se ne parlò, va
anche detto, in chiave francese, se e perché lui stesso fosse stato eliminato
dai servizi francesi. Mentre non se ne parlò, non molto, e solo nei circoli di
estrema sinistra, per il delitto di cui era stato esecutore e\o animatore a
fine ottobre del 1965: il rapimento e l’assassinio di Mehdi Ben Barka, un oppositore
del re del Marocco Hassan II – il rapimento fu “spettacolare”, nei pressi della rinomata brasserie Lipp.
Se ne parlò anche perché era un personaggio della Parigi intellettuale, editore e produttore, benché reduce da tre anni di manicomio, e undici di prigione, per aver sparato a un poliziotto in un tentativo di truffa fallito. Aveva attirato Ben Barca nella trappola con la proposta di un film sulla resistenza marocchina.
Poco dopo l’agguato a Ben Barka, Figon fu trovato morto nel suo appartamento, e l’inchiesta subito chiusa per suicidio. Ma ucciso, si è poi saputo, da un amico, Christian David, “le beau Serge”, altro pregiudicato, nonché prosseneta e trafficante, arruolato nel Sac, il service action dei servizi segreti francesi, come torturatore in Algeria.
Se ne parlò anche perché era un personaggio della Parigi intellettuale, editore e produttore, benché reduce da tre anni di manicomio, e undici di prigione, per aver sparato a un poliziotto in un tentativo di truffa fallito. Aveva attirato Ben Barca nella trappola con la proposta di un film sulla resistenza marocchina.
Poco dopo l’agguato a Ben Barka, Figon fu trovato morto nel suo appartamento, e l’inchiesta subito chiusa per suicidio. Ma ucciso, si è poi saputo, da un amico, Christian David, “le beau Serge”, altro pregiudicato, nonché prosseneta e trafficante, arruolato nel Sac, il service action dei servizi segreti francesi, come torturatore in Algeria.
“Il bel Sergio” ha avuto anche un
passaggio italiano. Fu infatti fatto transitare dall’Italia, sulla via per l’Africa
e poi l’America Latina, dalla “famiglia” Guerini, una mafia corsa specializzata
in contrabbando di sigarette e prossenetismo. In fuga dalla Francia per avere
ucciso, due settimane dopo la morte di Figon, un commissario, Maurice Galibert,
durante una “discesa” di polizia alla cinque del mattino su un bar parigino per
arrestare un altro delinquente comune di cui invece era stata accertata la partecipazione
al rapimento di Ben Barka, Julien le Ny.
In Brasile, David non fu ricercato dalla
polizia francese. Finito in un carcere americano per traffico di eroina, è solo
dopo venti anni, nel 1985, che viene estradato in Francia per l’assassinio del
commissario. Sarà condannato anche in Francia, ma dopo quattro processi invalidati,
per un motivo o l’altro.
Marx – È in grande spolvero, mai tanto reinterpretato-riproposto
come dopo la caduta del Muro. Quasi che il sovietismo lo avesse liberato, lui e
non le vittime del marxismo-leninismo. Non era un dottrinario? Lo era ma in
politica: combattivo, fazioso. Non un
apocalittico, la storia lo intrigava e lo divertiva. Nessuna “legge” si trova formulata nelle sue
opere. Induttivo al contrario, descrittivo, storicistico. Di vita avventurosa:
vige ancora la lettura del personaggio ideologo, teorico, dottrinario, ma la
vita conta, e contano gli interessi extrapolitici.
Carlo Galli, fra i tanti, “Marx eretico”, ne ha colto il dato essenziale: Marx
è uno di metà Ottocento. Uno della politica
risolutiva. Hegeliano a metà, fino ai trent’anni. Ma più che altro, di Hegel si
fece vessillo, bandiera, copertura. Di fatto non ha mai studiato, non come uomo
di scienza o filosofo. E mai, si può aggiungere, è stato preso sul serio come
politico – il leninismo è altra cosa, si potrebbe dire antimarxiano.
Un grande scrittore, si può anche dire, di politica. Ma
un incompiuto teorico. E un politico confusionario, tanto quanto fazioso.
Collezionista di sconfitte più che di vittorie, e queste mai pratiche, portate
a effetto. Una sorta di eterno adolescente, si può aggiungere leggendolo, specie
gli scritti giornalistici, che tanto gli piacevano, quelli “storici”, polemici,
e la corrispondenza, un allegrone e un compagnone,
Ritorna rivoluzionato, e quasi “gossiparo”. Ma è
vero che aveva un lato debole. Un “inedito” del “Che” Guevara, pubblicato da “Il
Manifesto” nel 1974, ne faceva questo ritratto: “Marx,
per quel che se ne sa, era e restò monogamo tutta la vita. Ma non pensò mai di
fare in proposito dissertazioni morali. Anche se a volte insorgevano divergenze
fra lui e Engels. C’è una lettera a Marx nella quale Engels protesta perché,
avendo egli comunicato la morte della sua compagna, Marx invece di dirgli una
parola di conforto gli risponde chiedendogli di non so che lavoro. La moglie di
Marx, che pare fosse una vera militante, era però una piccolo borghese, o di
piccola nobiltà tedesca, mentre Engels conviveva con la governante, o
domestica. Visse con lei tutta la vita e quando essa morì per lui fu una
tragedia. Vedete come anche in quel tempo un rivoluzionario avesse le sue
debolezze, giacché non pensò mai di sposarla. Insomma, quando questa sua
compagna morì, la moglie di Marx pensò che non fosse il caso di condolersi
ufficialmente per la morte di una persona che non era la vera moglie del loro
amico”.
Non tutto collima nella realtà col “Che”. La
compagna di Engels non era una domestica. Né la moglie di Marx una casalinga
inacidita: era donna e consorte amichevole e colta. Mentre è vero che Marx
scopava con chi capitava – stantuffò perfino Lennchen, la tozza servetta di
casa, tanto da farle un figlio. E che con Engels scantonava da questi temi,
preferendo il witz, la politica, e le
richieste di soldi (quanto al “Che”, volendo restare nel gossip, era un Guevara parenti dei Lynch, i latifondisti
argentini).
La vera biografia resta da fare, che pure è
semplice. Marx
era uno che capiva una diecina di lingue, corrispondeva con migliaia di
persone, leggeva i giornali di tutto il mondo. E non ha mai fatto la fila per
il burro, benché disoccupato. Fu un vittoriano. Sottolineava
le parole, e le virgolettava, con la stessa enfasi della regina Vittoria.
Mentre la nobile moglie Jenny prendeva gli appunti e copiava per lui. Comprò il
piano per le figlie. S’innamorò di una ragazza Bismarck e di altre principesse
giovani. Sedeva nella sala di lettura del British Museum accanto ai Sobieski
Stuart, che vi avevano un seggio di diritto, essendo stati dichiarati eredi
della defunta dinastia - a Londra si celebravano all’epoca le dinastie, ogni
sorta di dinastie. Fu
membro all’università del Borussia, che diventerà il circolo dell’elmo
chiodato. Capiva le ragioni dell’impero, e mai lavorò,
facendosi mantenere dai compagni e da Engels. Benché vittoriano simpatico - non
frustava le donne che s’immaginava di scopare.
Si è così detto tutto. Si può
aggiungere che fu marxianamente figlio del tempo, gli anni fra il 1851 e il
1862, quando rintanato nella biblioteca al British Museum ponzò i quattrocento
articoli per la “New York Tribune” e la “New American Cyclopedia” e la critica
dell’economia, mentre i tribunali disgregavano il comunismo e la corsa alla
ricchezza subentrava con la pace alla scoperta dell’oro in California.
Non
fu buon politico: collerico, fazioso, dispettoso. Non un agitatore, era un
pantofolaio. Ma era cattivo politico perché era cattivo comunista. Non fu
marxiano specialmente nell’analisi del lavoro, le condizioni del lavoro ai suoi
anni. Non solo in Ford alla fine, e in Owen
all’inizio, ma nella Cadbury, alla Rowntree e in ogni altra azienda quacchera,
in molte società cattoliche e in quelle socialiste del mutuo soccorso,
l’Ottocento ricorreva al lavoro per migliorare l’igiene e l’istruzione, o il
rispetto di sé. Finché il lavoro non fu disseccato nel plusvalore. Di cui le
critiche presto sono emerse con Eduard Bernstein, e poi con Rosa Luxemburg,
semplici, Marx le avrebbe sottoscritte: il moderno proletario è sempre povero
ma non pauperizzato, la crescita della ricchezza non viene con la diminuzione
del numero dei capitalisti ma con la loro moltiplicazione – si potrebbe fare un
partito di massa dei ricchi, non fossero tanto ricchi da farsi passare per
poveri. E lo slogan “i proletari non hanno padri” non è vero, purtroppo. Ma
questo era contro l’interesse del Partito a farsi Stato.
Neutralità – È esemplare solitamente nella considerazione politica. Ma non c’è onore a restare neutrali in tempo di guerra. La Svizzera ha lucrato sui persecutori e sui perseguitati. La Svezia arricchì fornendo a
Hitler l’acciaio, via Norvegia. Una legge di Solone toglieva la cittadinanza a
chi in una sommossa non parteggiava per nessuna delle due parti.
astolfo@antiit.eu
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