Un
film fuori dai generi. Trascinante più che esilarante. Per il ritmo oltre che
per il rovesciamento.
Il
fondo resta drammatico: il racconto è di un viaggio al Sud degli Stati Uniti
nel 1962, di razzismo violento. Dove il nero si indica come “schiavo”. Il Green
Book del titolo è la guida dell’epoca per i neri al Sud, dei locali e i motel
dove erano ammessi – una brochure modesta. Ma tutto si risolve coi pugni –
anche i latini non sono accetti al Sud: l’inerme dr. Shirley viene sempre
salvato. Finché non decide di non piegarsi più alla schizofrenia del Sud, che
si onora di ascoltarlo al piano, nei teatri e alle feste private, ma non lo vuole vicino di tavola, e interrompe
il suo tour.
Il
lieto fine è che il film è di una storia vera: il viaggio ci fu, i due sono
rimasti amici per la vita. Tony “Lip” è il padre del cosceneggiatore e
coproduttore di Farrelly, Nick Vallelonga. Che sa perfino salvare dal folklore
le scene familiari, attorno al nonno, il padre di Tony, che solo parla un suo
dialetto italianizzante, e gli inevitabili pranzi.
Peter
Farrelly, The Green Book
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