sabato 9 febbraio 2019

Il nero ricco e colto, il bianco rozzo e povero

Tony Vallelonga, detto Tony Lip per la parlantina, buttafuori di night-club, momentaneamente disoccupato, uno che i neri in casa non li vuole nemmeno come idraulici, viene preso come autista e tuttofare dal dr. Shirley, musicista nero addottorato a Leningrado, stimato esecutore di classici che però negli Usa può solo esercitarsi al jazz. Un nero intelligente, colto e ricco che dà lavoro a un bianco ignorante e rozzo: il rovesciamento dei ruoli produce una commedia dai toni sempre vivaci, per due ore e mezza di programmazione. Grazie anche a due attori, Viggo Mortensen nei panni del buttafuori italoamericano, un piccolo maneggione dell’economia grigia, e Mahersala Alì nei panni del pianista Don Shirley, che non sembrano recitare. Soprattutto il primo, più noto come l’Aragorn del “Signore degli anelli”, qui è tutto il suo personaggio, pancia, pugni e furbizia.
Un film fuori dai generi. Trascinante più che esilarante. Per il ritmo oltre che per il rovesciamento.
Il fondo resta drammatico: il racconto è di un viaggio al Sud degli Stati Uniti nel 1962, di razzismo violento. Dove il nero si indica come “schiavo”. Il Green Book del titolo è la guida dell’epoca per i neri al Sud, dei locali e i motel dove erano ammessi – una brochure modesta. Ma tutto si risolve coi pugni – anche i latini non sono accetti al Sud: l’inerme dr. Shirley viene sempre salvato. Finché non decide di non piegarsi più alla schizofrenia del Sud, che si onora di ascoltarlo al piano, nei teatri e alle feste private, ma non lo vuole vicino di tavola, e interrompe il suo tour.
Il lieto fine è che il film è di una storia vera: il viaggio ci fu, i due sono rimasti amici per la vita. Tony “Lip” è il padre del cosceneggiatore e coproduttore di Farrelly, Nick Vallelonga. Che sa perfino salvare dal folklore le scene familiari, attorno al nonno, il padre di Tony, che solo parla un suo dialetto italianizzante, e gli inevitabili pranzi.
Peter Farrelly, The Green Book

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