Come
la Borsa è necessaria a tutti e anche ai lavoratori – contadini, artigiani,
operai. Un secolo prima che la Banca d’Italia di Carli scoprisse che il debito
è – era – la rendita degi italiani, operai inclusi. Max Weber lo spiega ai
sindacalisti e ai lavoratori tedeschi attraverso la “Gōttinger
Arbeitbibliothek”, una pubblicazione collegata all’editrice socialdemocratica
Berliner Arbeiterbibliothek di Friedrich Naumann, di Weber grande amico. Lo fa in
due tornate, nel 1894 e nel 1896, mentre si discuteva una legge restrittiva
delle operazioni di Borsa, dopo una serie di crisi e malversazioni finanziarie
che avevano fatto scandalo attorno al 1890. I due testi Weber sono stati
riuniti, sotto il titolo “La Borsa”, ne 1924, negli “Scritti di Sociologia e
politica sociale” raccolti e pubblicati dalla vedova Marianne.
Non
è la sola sorpresa. La Borsa è anche meglio oligopolistica, argomenta Weber in
chiusura del primo saggio. Organizzata attorno a un nucleo ristretto e controllato
di agenti, come a Londra e a Parigi, la sola struttura in grado di controllarne
la solvibilità, con i propri probiviri, e di escludere o sanzionare per tempo
gli avventurieri. La Borsa di Amburgo,
dove ognuno può “entrare”, vale solo per quella comunità di affari, antica e
stabilizzata, quindi in grado di assorbire (controllare indirettamente) ogni
nuova entrata.
Didascalico,
preciso, utile ancora oggi, malgrado la finanziarizzazione dell’economia – i
fondamentali restano uguali. Senza dissipare l’aura di sortilegio che attornia
le transazioni a termine, o a premio, i riporti, le opzioni. Per il ruolo, a
prima vista incomprensibile, delle transazioni a termine e allo scoperto a fini
di stabilizzazione della speculazione. La Borsa è uno dei fatti politici ed
economici al centro dell’interesse del giovane Weber, già famoso per
l’inchiesta sui lavoratori agricoli all’Est dell’Elba, ma ancora incerto sulla
carriera da intraprendere, se da accademico o da politico.
Il
punto di vista è originale: la Borsa è necessaria, allo stesso lavoro. In
dissenso col vasto schieramento contro la speculazione finanziaria, che vedeva
gli Juncker arciconservatori sullo stesso fronte col sindacato e con i Cristiano-sociali.
Con poche divagazioni da grande storico delle religioni, della società, della
politica. Sul debito: “Un tempo, il
prestito a interesse era segno di asservimento. «Tra fratelli» non si prestava a
interesse”. Sul debito pubblico, che è necessario e anche giusto per finanziare
opere che durano nel tempo, come le ferrovie, ma è “diverso, ed è di cattiva
gestione finanziaria che si tratta, quando uno Stato s’indebita continuamente
per bisogni che si rinnovano incessanti, per esempio per pagare i funzionari e
le forze armate”.
Da
ultimo una constatazione che si dimentica, sui mercati finanziari come forma e
veicolo della potenza, economica e politica: “Il rafforzamento delle posizioni
di potenza delle Borse nazionali in rapporto alle Borse straniere, a cui
contribuisce incontestabilmente la pratica dei mercati a termine, implica anche un miglioramento considerevole
della posizione di potenza finanziaria, e dunque politica, dello Stato
nazionale. Politicamente, non è indifferente che sia la Borsa di Berlino o la
Borsa di Parigi a offrire alle potenze prive di mezzi finanziari, come l’Italia
e la Russia per esempio, le migliori possibilità di collocare le loro
obbligazioni”. Il mercato dei capitali è essenziale nelle strategie di potenza,
qui non c’è “disarmo unilaterale”: “Finché
le nazioni perseguiranno la lotta economica inesorabile e ineluttabile per la
loro esistenza nazionale e la potenza economica, anche se può darsi che vivano
in pace sul terreno militare, la realizzazione di esigenze puramente teorico-morali resterà strettamente limitata se ci si
rende conto che anche sul terreno economico è impossibile procedere a un
disarmo unilaterale”. Detto
altrimenti: “Una Borsa forte non può essere un club di ‘cultura etica’e i
capitali delle grandi banche non sono ‘istituzioni di beneficenza’ più di
quanto lo sono i fucili e i cannoni”.
Un
picco manuale, anche, di storia finanziaria, col diverso funzionamento delle
Borse, a Londra, a New York, a Parigi e, in Germania, a Amburgo e nella prussiana
Berlino. Fuori catalogo in Italia dopo la prima traduzione, nel 1985, è
riproposto regolarmente in Francia, e più dopo la crisi bancaria del 2008.
Quale base per la “modellizzazione dei rischi” che fu tentata, e fu in voga, a
fine Novecento.
Max
Weber La Bourse, Allia, pp. 151 €
7,50
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