Vale
la pena ricordare quanto questo sito scriveva, recensendo “Stress Test.
Reflections on financial crises”, il libro che Timothy Geithner, l’ex ministro
del Tesoro americano, pubblicò nella primavera del 2014 – che curiosamente si è
scelto di non tradurre, benché nessuno ne abbia contestato informazioni e
deduzioni:
E l’Europa? Geithner ha avuto un ruolo anche nella
crisi europea. Prende poche pagine della sua voluminosa memoria, ma è preciso e
sconcertante.
Europa sbalorditiva e inspiegabile
A metà settembre 2008, a crisi manifesta, “la Banca
centrale europea aumentò i tassi, il che mi parve sbalorditivo e inspiegabile”.
Se non per “un altro round di paranoia da inflazione”, per
l’aunento dei prezzi del petrolio. Il governo americano invece lanciava una
riduzione delle tasse per 140 miliardi, un’iniziativa bipartisan,
per stimolare i consumi e gli investimenti. Mentre la Fed di New York, che
Geithner presiedeva, negli stessi mesi spingeva le banche d’affari a ricapitalizzarsi
per 40 miliardi di dollari, e a ridure il breve termine e l’esposizione sui
titoli rischiosi. Questo non bastò a salvare una delle quattro, la Lehman, ma
salvò le altre.
Successivamente due eventi fanno “inorridire” il
ministro del Tesoro di Obama, e lo stesso Obama. L’attacco franco-tedesco
all’Italia a novembre del 2011 - l’unica parte di questa memoria già nota,
riprodotta dalle agenzie di stampa - e sei-sette mesi dopo l’attacco tedesco
alla Grecia. “L’Europa aveva passato la maggior parte del 2011 nei tormenti”.
Il 21 luglio fu ristrutturato il debito greco. Nello stesso mese la Bce di
Trichet accresceva l’acquisto di titoli pubblici sul mercato secondario “per
aiutare a puntellare la Spagna e l’Italia”. Ma “l’Europa non persuadeva gli investitori
con una strategia credibile”. A ragione il governo tedesco recalcitrava ai
salvataggi, perché “i beneficiari del sostegno europeo – la Spagna e l’Italia
come la Grecia – non mantenevano gli impegni di riforma”. Ma “la linea che
Angela Merkel disegnava sulla sabbia limitava le opzioni” anticrisi. C’era
bisogna di un intervento massiccio subito. Di un piano di intervento, che nei
fatti avrebbe consentito alla Bce uno sforzo gigantesco a sosteggo del debito e
dell’euro, con una “leva” di “piccoli aiuti” pubblici. Le banche centrali
canadese e svizzera lo proposero, la Bundesbank lo rigettò.
A un certo punto gli europei presero a rivogersi ai
paesi asiatici per finanziare il loro fondo di intervento, “uno spettacolo
abbastanza sconcertante”. Giappone e Cina non risposero.
A settembre Geithner fu invitato all’Ecofin in
Polonia, il consiglio europeo dei ministri del Tesoro. Tentò di non andarci,
l’invito fu reiterato e pressante, e allora parlò “con umiltà”, scusandosi,
schermendosi. Ma non poté non dire: “È più rischioso un intervento a piccole
dosi graduale che un intervento preventivo massiccio”. Gelo, e invito a
tornarsene a casa dei ministri dell’Austria e del Belgio per conto della
Gerrmania. “No leadership”, è il commento interno al Tesoro Usa sull’Ecofin
europeo.
Il 26 ottobre fu annunciata una ulteriore revisione
della ristrutturazione del debito greco. Fu annunciato anche “un piano modesto
per tentare di fare leva sul fondo di salvataggio per movimentare il denaro
privato, ma era congegnato male e più che altro sembrò segnalare i limiti di
quello che l’Europa voleva fare”.
Via Berlusconi
Quell’aututnno Obama “parlò regolarmente con i leader
europei”, e anche Geithner con le sue controparti. Ne ricevettero spesso
richieste di intervenire sulla Merkel per una maggiore flessibilità, e su
Italia e Spagna per un “impegno responsabile”. Qui viene il complotto: “A un
certo punto quell’aututnno alcuni rappresentanti europei ci presentarono un
complotto per tentare di costringere Berlusconi fuori dal governo; volevano che
rifiutassimo di sostenere i prestiti del Fondo monteraio finché non se ne fosse
andato. Informammo il presidente di questo sorprendete invito, ma per quanto
potesse servire ad avere una migliore leadership in Europa non potevamo
impegnarci in un complotto come quello”. Geithner ne riferisce come di un
approccio e una decisione interna al suo ministero, al plurale, abbandonando la
prima persona, afferenti cioè a qualcuno dei suoi collaboratori. E
probabilmente per iscritto, poiché Obama non parla. Poi torna al singolare:
“«Non possiamo macchiarci le mani del suo sangue», dissi”.
Pochi giorni dopo, ai primi di novembre, si tenne a
Cannes il G 20. Obama “passò la più parte del tempo in negoziati riservati, per
tentare di aiutare l’Europa a salvarsi. La maggiore parte della conferenza
riguardò le pressioni su Berlusconi, ma noi continuammo a premere sulla
necessità di un robusto firewall, e ci fu molta pressione anche su
Merkel. Merkel si sentì isolata e sotto attacco; non l’ho mai vista così
agitata”.
Poi le cose cambiano. Cambiano i governi in Grecia,
Italia e Spagna. E alla Bce arriva Draghi. “Ai primi di dicembre Draghi
annunciò una massiccia iniezione di liquidità a lungo termine per il sistema
bancario europeo”, con “un istantaneo effetto stabilizzatore… L’Europa aveva
mostrato un po’ di forza e un po’ di volontà”. A febbraio, al G 20 dei
ministri del Tesoro a Città del Messico, il morale era su: “Gli europei erano
sollevati, molti dichiararono che la crisi era finita. Io non lo pensavo. Sembrava
più una tregua che una soluzione”.
L’attacco alla Grecia
A luglio del 2012 Draghi impegna la Bce a fare
“qualsiasi cosa” sia necessario per salvare l’euro nella sua integrità.
Geithner ci vede un’identità di vedute con l’intervento monetario e finanziario
americano. Ma è sorpreso – “terrificante” – da Schaüble, che in un incontro
successivo gli prospetta come “una strategia plausibile - e anche
desiderabile”, nelle sue parole, di Geithner, l’uscita della Grecia dall’euro.
Come una lezione agli altri: l’evento, sempre nelle parole di Geithner,
“sarebbe stato abbastanza traumatico da aiutare a spaventare il resto
dell’Europa, inducendola a cedere più sovranità a un’unione fiscale e monetaria
più forte”. E come incentivo all’opinione tedesca a sostenere l’euro, senza più
il pregiudizio antigreco.
Schaüble viene presentato ora come la controfigura di
Merkel, quello che si prende il ruolo del cattivo per coprire politicamente la
cancelliera con il ceto politico più recalcitrante all’idea di eurozona e di
Europa. Geithner lo dice simpatico, “engaging”. Ma ha agitato i mercati,
aggravando la situazione, più del necessario, molto di più, in più occasioni,
troppe.
“A giugno dl 2012 la crisi europea bruciava più che
mai”, ricorda Geithner. Ma solo Draghi se ne preoccupava. E la risolverà
ripercorrendo – in parte e in ritardo – la ricetta americana: “L’Europa non era
risucita a convincere il mondo che non avrebbe consentito una catastrofe”.
Geithner ha presente, ricorda, quello che tutti sapevano ma nessuno in Europa
denunciava: “difese fragili e politiche confuse”. Scrive allora a Draghi per
incoraggiarlo: “Temo che l’Europa e il mondo guarderanno ancora a te per
un’altra dose di abile, creativa manifestazione di forza da banca centrale”.
Draghi sa di doverlo fare ma la Bundesbank non glielo consente. I tedeschi “non
avevano un piano per salvare l’Europa ma sapevano quello che non volevano”,
così Geithner sintetizza le sue conversazioni con Draghi – “quel luglio Draghi
e io abbiamo avuto parecchi conversazioni”: “Davano una lettura limitativa dei
poteri legali della Bce, e si opponevano a qualsiasi cosa sapesse di questione
morale”, di salvataggi con denaro pubblico (quello che la Bundesbank aveva
tranquillamente fatto in casa, va aggiunto).
Qualsiasi cosa
Il consiglio di Geithner è di “lasciare la Bundesbank
fuori”. Il 26 luglio uno studio Citigroup dà la Grecia fuori dall’euro al 90
per cento. Quello stesso giorno, a un convegno a Londra, al termine di una
serie d’incontri con bancheiri e gestori di fondi, Draghi proferisce le parole
famose: “Nei termini del nostro mandato, la Bce farà qualsiasi cosa per
preservare l’euro. E credetemi, sarà abbastanza”. Fa l’annuncio, scrive
Geithner, sotto l’impressione del pessimismo che ha riscontrato negli incontri
londinesi, ma non ha un piano. Geithner va allora a Sylt, dove Schaüble è in
vacanza, per tentare di convincerlo. Ne ricava quanto si è già riferito –
“lasciai Sylt più preoccupato di prima”. Si ferma a Francoforte da Draghi,
che lo rassicura, ma sempre senza un piano.
Di ritorno a Washington, Geithner spiega a Obama che
l’Europa può mettere a repentaglio il programma anticrisi americano. Obama
chiede più volte che l’Europa affronti la crisi con decisione. A settembre
Draghi annuncia il programma di riacquisto di titoli pubblici europei sul
mercato. I mercati si rassicurano, ma per poco. Viene Cipro, altra confusone.
La memoria lascia gli europei in crisi. Tra “impegni
sempre confusi e incompleti”, nei “loro tardivi e spesso inefficaci tentativi
di imitarci”. Sempre divisi su “un robusto programma europeo di
ricapitalizzazione diretta del sistema finanziario, come il nostro”. Incapaci
di “un piano effettivo di un sistema comune di assicurazione sui depositi”
(quello oggi in discussione). Con una disoccupazione a livelli impensabili,
“molto peggiore che negli Usa, una crescita stagnante, … un’austerità mal
posta”. La conclusione è triste: “C’era tanta sofferenza innecessaria dietro
questi dati”. E orgogliosa: “Gli errori degli europei … fornivano un’ottima
pubblicità alla nostra risposta alla crisi”.
Nessun commento:
Posta un commento