venerdì 8 febbraio 2019

La prima crisi cinese

Il primo effetto si è avuto in Germania – e a ondate successive in Italia, la cui economia è legata a quella tedesca - con la recessione “tecnica”, per due trimestri consecutivi: effetto della minore crescita cinese, minore del previsto. Ma in agguato c’è la prima crisi economica della Cina. Un’esperienza nuova, dacché la Cina è diventata protagonista dei mercati mondiali, trent’anni fa, che potrebbe avere conseguenze nefaste per tutti. Ma a partire dal regime comunista cinese.
Le valutazioni internazionali sono che il rallentamento è più forte di quanto le statistiche registrino, addomesticate dalla forza della politica. Ma nella stessa Pechino se ne parla come di crisi in vista. L’accettazione del compromesso con le richieste di Trump viene dalla preoccupazione di Pechino di evitarla. Prodromi i crolli delle Borse di Shangai e Shenzen. L’azzeramento degli investimenti industriali, che crescevano del 20 per cento l’anno. Il calo delle vendite di auto, del 4-5 per cento, e delle importazioni dalla Germania, del 15 per cento.
Il governo cinese moltiplica i piani d’investimento publico per infrastrutture, specie nell’alta velocità ferroviaria. La Banca centrale ha immesso liquidità a gennaio per 150 miliardi di dollari. La stampa di Pechino – cioè il partito Comunista – chiede l’abbandono dei parametri di bilancio pubblico autoimposti, del 3 per cento nel rapporto annuo deficit\pil, e di un cambio col dollaro  fisso a 7 renminbi.  

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