Le valutazioni internazionali sono che
il rallentamento è più forte di quanto le statistiche registrino, addomesticate
dalla forza della politica. Ma nella stessa Pechino se ne parla come di crisi
in vista. L’accettazione del compromesso con le richieste di Trump viene dalla
preoccupazione di Pechino di evitarla. Prodromi i crolli delle Borse di Shangai
e Shenzen. L’azzeramento degli investimenti industriali, che crescevano del 20
per cento l’anno. Il calo delle vendite di auto, del 4-5 per cento, e delle importazioni
dalla Germania, del 15 per cento.
Il governo cinese moltiplica i piani d’investimento
publico per infrastrutture, specie nell’alta velocità ferroviaria. La Banca
centrale ha immesso liquidità a gennaio per 150 miliardi di dollari. La stampa
di Pechino – cioè il partito Comunista – chiede l’abbandono dei parametri di
bilancio pubblico autoimposti, del 3 per cento nel rapporto annuo deficit\pil,
e di un cambio col dollaro fisso a 7
renminbi.
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