Albertine – È la scrittura come
riscrittura, la mania di Proust. Esercizio creativo interminato, di sette giorni
su sette, e non sei su sette. Della scrittura fine a se stessa, esercizio personale,
come i ghirigori che si fissano sul taccuino mentre si conversa, si telefona,
si riflette. Per questo mutevole. Mutevole,
nelle sue mille pagine, più che inafferrabile. O allora volutamente inafferrabile,
un corpo inerte su cui esercitare la mania riscrittoria. Come persona e come
tema: la gelosia. Che è probabilmente stata la passione più divorante dello
stesso Proust. Più della stessa pratica sessuale, che Nicole Canet, “Hôtel garnis,
garçons de joie, prostitution masculine - Lieux et fantasmes à Paris de 1860 à
1960”, pure documenta estrema, selvaggia. La possessività di Proust, che
arriva a sconfinare nel dileggio, compresa l’amata mamma, è nota – “Nelle
questioni di cuore Proust conferisce un’importanza nodale all’orgoglio, all’amor
proprio e alla fame di potere e di possesso”, Alessandro Piperno.
Proust riscrive in continuazione, dal “Santeuil”,
quindi dagli inizi, dal 1895, per trenta anni – “si scrive addosso” si direbbe di
altro autore.
Cesare – L’incipit per cui è
famoso, “Gallia est omnis divisa in partes tres”, non è di Omero, “Odissea”, 1,22: “Gli
Etiopi, che sono divisi in due parti, gli uni verso Iperion al tramonto, gli
altri verso il sole nascente”?
Grecità – “Quando l’arte esisteva
ancora, ogni canto risuonava per un popolo di re. Erano tutti re, i greci”. Nel
suo primo scritto, “Questione di donna”, Georg Groddeck ha, fra i tanti diorami
fulminanti, questo sulla civiltà greca. Guerriera-maschile senza faglie. Fino a
Pericle, quando Aspasia emerge.
La civiltà è matrilineare, si direbbe con Bachofen. Con
questo presupposto probabilmente nel subconscio del futuro psicoanalista, “tanto più sorprendente è che la civiltà greca, su cui si fonda la vita europea,sia pura opera
di uomini”. La donna entra nella storia greca tardi: “Pericle è il primo greco
da cui ci è tramandata l’influenza della donna”, Aspasia. Che “segna la svolta
nella storia dell’umanità”.
La donna emerge al
tempo di Pericle, continua Groddeck, per influsso dell’Asia nelle guerre
persiane - prima “persino le dee hanno tratti da uomo”. E per effetto delle “terribili
guerre civili”, del “calo del numero dei cittadini”. È così che “un modo di giudicare sentimentale subentra alla visione del mondo dura, senz’anima”.
Euripide subentra a Eschilo, a Sofocle. E viene Prassitele, con “la malinconica
bellezza delle donne”. Mentre nasce, sempre “sotto l’influsso femminile”, il
genere del romanzo. Un cambiamento radicale e rapido, al punto che “già Aristofane
si vede indotto a scrivere satire sull’emancipazione delle donne”. Si spiana
così “la strada per il cristianesimo, la religione dei poveri e degli oppressi,
la religione femminile” – “religione nata da una stirpe femminile dell’Asia”.
Lussuria – Peccato desueto, era quello
centrale fino a qualche anno fa. “A me pare laudabile, perché noi imitiamo
la natura, che è varia”, scriveva Machiavelli della lussuria, dopo una notte
con una ninfa, all’amico Vettori. Con le perplessità di rito: “Chi vedesse le
nostre lettere, honorando compare, et vedesse le diversità di quelle (le
lettere pubbliche, tutte politiche, n.d.C.)... gli parrebbe quelli noi medesimi
essere leggieri, incostanti, lascivi, vòlti a cose vane”. Il compare gli aveva
scritto risoluto: “Questo mondo non è altro che amore o, per dir più chiaro,
foia, né so chosa che dilecti di più, a pen-sarvi e a farlo, che il fottere. E
filosofi ogni uomo quanto e’ vuole, che questa è la pura verità”. Dante nel suo
catalogo dice la lussuria peccato minore, il più lieve fra quelli
d’incontinenza, e anzi l’avvicina all’alto Amore – i peccati erano recenti, la
confessione obbligatoria è del 1216.
Marx – Fra i tanti studi che ne hanno
proposto e ne propongono un revival per il bicentenario, l’anno scorso, della
nascita, ricorrendo al “resto di Marx”, oltre il Diamat o materialismo
dialettico, manca una sul gusto della scrittura, su Marx letterato. Che pure
sarebbe proficuo. Era superbo, più di qualsiasi altro scrittore.
E ironico. Instancabile: per un Witz
avrebbe dato “Il Capitale”. In tutti i rapporti, anche familiari, il
criterio della verità diventa per lui distacco critico: io e gli altri. È la
forma più esasperata di egotismo, limitare alla misantropia, il fastidio
dell’umana imperfezione.
L’ironia è il suo
lato simpatico, oltre che una grande dote conoscitiva, socratica. Ma è il virus
che ne mina la dottrina. Il cristiano si riscatta al confessionale, per quanto
ipocrita possa la confessione cristiana essere, il comunista non può pentirsi
mai. Pena l’ipocrisia, che è malvagia. Inoltre, ironizzare porta
all’insensibilità, non a più conoscenza. Nabokov lo vede in aspetto di
“traballante e bisbetico borghese in calzoni a quadretti di epoca vittoriana”,
il cui “cupo «Capitale» è figlio
dell’insonnia e dell’emicrania”. Ma ne condivide il sarcasmo, con
punte snob perfino più acute, anche se non sembra possibile. Come l’altro monopolista Freud, che molta buona
psicologia ha oscurato, Marx ha per questo vezzo cassato molto socialismo, alle
sue radici: la compassione.
Pci – “Papà era amico di Mario Alicata,
spiega Antonio Debenedetti del padre Giacomo, l’illustre critico, a Gnoli sul “Robinson”
di “la Repubblica”. Giacomo Debenedetti ebbe un rapporto conflittuale col partito
Comunista, che gli negò la cattedra –solo incarichi, lontano da Roma. Ma
collaborava a “l’Unità”, organo del Pci. Da cui fu allontanato. Poi si decise
di farlo tornare a collaborare, ma, continua Antonio, “l’intenzione di far
tornare Debenedetti a collaborare u
bloccata proprio da Alicata”.
Rachilde – Non se ne parla perché il femminismo radicalizza (ridicolizza),
come il proprio delle avanguardie, che vanno subito “in fondo” alla novità,
nella inversione dei sessi – il maschio che fa la femmina, la femmina che fa il
maschio, e situazioni intermedie varie? Ma fonda nei suoi romanzi il Lgbtqi, un cocktail sessuale che finisce nell’indistinto. Sessualmente,
Rachilde si compiace del pruriginoso (beh, il pruriginoso di Fine
Secolo – fine Ottocento) - ma anche funzionalmente e psicologicamente. Facendo probabile aggio su una situazione di vita vissuta, la sua, della donna dominante nella coppia con La Valette, editori e scrittori.
Saba – “Capace di punte di affetto
inarrivabile”, così Antonio Debenedetti nell’intervista con Gnoli descrive Umberto Saba, il poeta mite, ospite
“per vari periodi” in casa del padre, ma “imprevedibile” e “invadente”:
“Morfinomane, omosessuale, capriccioso”. E collerico : “Una sera a cena, oltre
a mio padre, Saba e me c’erano Bobi Bzlen e Galvano Della Volpe.
Improvvisamente Saba cominciò a gridare e inveire contro papà e Bazlen. Si alzò
da tavola e agitando il bastone urlò: «Maledetti junghiani!»”. Il motivo dell’escandescenza,
appurò Galvano della Volpe alzatosi per rabbonirlo, era qualche problema di
psicoanalisi.
letterautore@antiit.eu
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