sabato 2 febbraio 2019

L’Oriente, l’esilio

Tredici “racconti orientali” li chiama la curatrice Mazzucco. Di fatto i primi racconti di Annemarie Schwarzenbach, alla maniera di “cose viste”. Di figure e impressioni ricavate nei suoi tre viaggi in Medio Oriente, tra Siria e Persia, a partire dal 12 ottobre 1933, quando a venticinque anni opta per  un esilio volontario contro Hitler e contro la famiglia, abbandonando Erika Mann subito dopo la riapertura – tormentata – del suo cabaret zurighese “Die Pfeffermühle”, all’estate del 1935. Nel mezzo un’esperienza di scavi con una missione americana in Siria, tra Aleppo e Palmira, e il matrimonio, il 21 maggio 1935, col diplomatico francese a Teheran Claude Clarac.
I racconti Annemarie scrive o mette e punto nel giardino della casa coniugale a Farmanieh, sopra Teheran. Diciotto pezzi che raggruppa sotto questo titolo e invia per la pubblicazione in Europa. Ma nessuno ne vuole sapere, malgrado le presentazioni di Thomas Mann e di Zweig, e la raccolta si perde. Clarac ne recupera un dattiloscritto nel 1989, ma di soli tredici titoli.
Un scrittura svelta, da reportage – Klaus Mann, che ne fu il primo lettore, disse i racconti “alla Hemingway”. Con personaggi reali, tra essi Annemarie e Claude. Annemarie già al primo racconto, “La terra promessa”, come “Billy”, la giovane bellezza della nave per l’Oriente, che corrisponde alle attenzioni pressanti del comandante, può passare le notti con lui a bere, e anche tenergli la mano, ma non può fare l’amore con lui.
Tra i personaggi reali un italiano si stacca, un veterinario, col nome di Dr. Rieti, e due donne, Georgette Calouta, greca d’Egitto, sposa dell’ambasciatore francese a Teheran (Jean Pozzi), e Marga d’Andurain, “moderna Zenobia”, albergatrice a Palmira, nel momento in cui “fonda” una sua propria tribù di beduini, i Beni Zainab. Nella realtà Marga, nata Marguerite Clérisse, è al tempo del racconto reduce da una condanna a morte a Gedda. per l’assassinio di un marito beduino che aveva sposato in bianco l’anno prima dietro promessa di essere condotta alla Mecca: la promessa non era stata mantenuta, il marito beduino era morto, Marga era in attesa della  lapidazione, il console francese l’aveva salvata. Di ritorno a Palmira aveva risposato il cugino Pierre d’Andurain, dal quale s’era fatta sposare a diciassette anni nel 1910 per uscire dalla famiglia, e col quale aveva avuto due figli, tutti conviventi con lei, nell’albergo che lei aveva messo su per sopravvivere, non avendo più rendita né un mestiere.
È un Oriente remoto e immobile, quale era fino a pochi decenni fa – in francese la raccolta è pubblicata col titolo “Orient Exils” (il titolo dell’originale tedesco-svizzero nel 1989 è di uno dei pezzi della raccolta, “Con questa pioggia”). Di uomini soli perlopiù, di bevute e di amori prezzolati, come è sempre degli scapoli espatriati. Di solitudini. Ma con molto senso della politica. La strage dei cristiani caldei, oltre che degli armeni, perfino degli orfanelli, delle suore, a Urmia, sul lago, a opera della popolazione mussulmana, curdi compresi, e dell’esercito turco. L’inconciliabilità con l’Occidente, nel colonialismo piccolo borghese: “Che gli si manifestasse disprezzo gli sembrava incomprensibile” - sembrava al giovane algerino promosso ufficiale nell’esercito francese e insolentito dai colleghi: “Questo serviva alla grandezza della Francia?”. Molti personaggi sono emigrati dalla Germania di Hitler. La “radiosa Europa” del racconto omonimo è già quella di oggi, presuntuosa e sbandata. E ci sono i “respingimenti”, in Siria e in Iraq, di giovani migranti ebrei dall’Europa.
I due pezzi sul “Dr. Rieti” fanno con brevi tocchi - accenni, allusioni - un affascinante ritratto della condizione intellettuale sotto Mussolini – compresa l’omosessualità repressa del dottore.  
Annemarie Schwarzenbach, La gabbia dei falconi, Bur, pp. 235 €8,80


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