Un racconto pirandelliano, la
vena forse più corriva di Camilleri – oltre alle due più note, di Montalbano e dei romanzetti “di costume”. Di una vendetta consumata fredda, come vuole la
frase fatta, ma insoddisfacente benché riuscita, e terribile. Filmato dal regista
del “Barlume”. Quindi molto caratterizzato, di personaggi a una dimensione,
esagerata. Ma qui bilanciato, la ricerca dell’effetto è contenuta.
Una programmazione fuori del
consueto per Rai 1, tra soft porn, accentuando
il lato sexy che Camilleri non
disdegna, e vendette private. Che il pubblico apprezza, poiché ha seguito in
massa il film.
Un curioso classismo
dell’iperprogressista Camilleri il film evidenzia rispetto al racconto: i ricchi,
o nullafacenti, sono buoni, i poveri cattivi. Il circolo dei nobili è di
personaggi vacui ma simpatici. I marchesi Peluso non sono arroganti né stupidi
– lo sono, ma non nell’equilibrio del racconto. Razzista è la loro serva cuoca,
che non vuole in cucina “’sta pezza nigura”, la cuoca nera che il Peluso emigrato
si porta dall’America. I contadini del marchese, marito e moglie, si
prostituiscono con grazia, per mettere a frutto la sua mania dell’erede
maschio.
Roan Johnson, La stagione della caccia. C’era un volta
Vigata
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