Un lungo saggio autobiografico
dello scrittore marocchino accompagna i suoi dipinti. Ghirigori perlopiù,
decorativi. “Ut pictura poësis”, la
sintesi di Orazio, la poesia è un quadro, si è fatta ricorrente per molti
scrittori nel Novecento: Breton, Cocteau, Michaud, Adonis, Barthes, Kundera,
Pasolini, Testori, Buzzati, e Ernesto Sabato, che per dipingere cessò di
scrivere. L’inverso è pure vero, ma qualche anno fa, di Michelangelo per
esempio, e di Leonardo – di più recente c’è solo Toti Scialoja, filastrocche.
Ben Jelloun fa di più: ha scritto anche di arte, di Mitoraj, Rotella, Guccione,
de Conciliis, sui quali riproduce qui alcuni contributi critici.
Ben Jelloun è sempre stato
attratto dalle arti plastiche, che ha praticato parallelamente alla scrittura,
ma senza progetto né ambizione. Per il gusto, e per lunga frequentazione dei “musei”: di Picasso in particolare e di
Giacometti. Ma di più si dice attratto dalla musica. Dal jazz, la passione da
adolescente che non lo ha mai abbandonato. Che ritma, dice, la sua scrittura –
della pittura non si può dire, sono divertimenti: “Il jazz è presente nel ritmo
delle mie frasi. Solo io sono in grado di individuarlo”.
Tahar Ben Jelloun, Ecrire, peindre, Il Cigno GG Edizioni
p. 96, ill., sip
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