domenica 24 marzo 2019

Andreotti, Scalfari, i neofascisti e l’attacco alla Banca d’Italia


Quarant’anni fa, il 24 marzo 1979, un sabato, la Procura di Roma arrestò il vice-direttore generale della Banca d’Italia Mario Sarcinelli, direttore della Vigilanza, e ritirò il passaporto al governatore, Paolo Baffi, non potendolo arrestare “in ragione dell’età avanzata”. Con l’accusa di favoreggiamento e interesse privato in atti d’ufficio nella vigilanza sul credito al gruppo chimico Sir di Angelo “Nino” Rovelli.
Il 21 marzo aveva giurato il quinto governo Andreotti, il primo dopo quelli del compromesso storico – Dc-Pci - dello stesso Andreotti. Un governo minoritario, composto da Dc, repubblicani e socialdemocratici, nato sfiduciato al Senato, in carica per gli affari correnti, per primo il voto il 3-4 giugno – i sondaggi davano il Pci perdente e Berlinguer aveva ritirato il sostegno a Andreotti: al voto il Pci subirà la prima sconfitta del dopoguerra, perdendo il 4 per cento, da qui il mito di Andreotti.
La Procura di Roma era saldamente andreottiana. Dal Procuratore capo Giovanni Di Matteo, che finirà sotto inchiesta per l’assassinio del giudice Mario Amato. Al sostituto Infelisi e al giudice istruttore Alibrandi, quello che avviò e quello che concluse l’azione giudiziaria. Al sostituto Claudio Vitalone, andreottiano dichiarato, che con Alibrandi e Infelisi dominava in Procura – i diversi ruoli, inquirenti o giudicanti, sono sempre stati aleatori nel sistema giudiziario. Antonio Alibrandi era di dichiarata fede fascista – la memoria del figlio Alessandro, terrorista dei Nar, Nuclei Armati Rivoluzionari neofascisti (ne sarà vittima, un anno dopo l’attacco di Alibrandi alla Banca d’Italia, il giudice istruttore Amato), morto il 5 dicembre 1981 in un conflitto con i Carabinieri, al quartiere Labaro a Roma, è stata per molti anni ricordata ogni 5 dicembre con grandi scritte a piazza Rosolino Pilo a Monteverdevecchio, il quartiere dove abitata.
La stessa mattina del 4 marzo moriva a Roma Ugo La Malfa, fresco ministro del Bilancio del Quinto Andreotti, colpito da ictus cerebrale. Sapeva dal giorno prima dell’attacco alla Banca d’Italia, informato da Antonio Maccanico, segretario generale del Quirinale, che lo ha scritto nei suoi diari – informato da Di Matteo, Maccanico aveva informato, oltre che La Malfa, il presidente Pertini e lo stesso Baffi. La Malfa era anche demoralizzato dalla semi-insubordinazione subita nel suo partito, il Pri, contro il Quinto Andreotti – Bruno Visentini, senatore, aveva rifiutato di farne parte con polemica pubblica.
Sarcinelli e Baffi saranno prosciolti due anni dopo. Senza che si specificasse il perché dell’azione giudiziaria. Ma senza nemmeno una loro azione risarcitoria. Una reazione ci sarà da parte di Baffi, ma blanda, e anni dopo gli eventi. Sarcinelli fu visto da Valentino Parlato nel 1983 con meraviglia “scodinzolare” dietro Andreotti all’inaugurazione della Fiera del Mediterraneo, allora evento importante a Bari.
La Banca d’Italia era nei si dice sotto accusa per aver favorito il gruppo Sir prossimo al fallimento. Ma di fatto, nella questione, Sarcinelli era stato quello che aveva bloccato l’Imi, la banca del credito industriale allora pubblica, da ulteriori finanziamenti a Rovelli. Successivamente, i giudici istruttori milanesi Turone e Colombo diranno che Alibrandi agiva nel quadro della P 2, per evitare che la Banca Privata di Sindona, anch’essa prossima al fallimento, fosse bloccata da Sarcinelli. Maccanico dice nei diari che l’attacco riguardava non la Sir ma l’Italcasse, la “sistemazione” di un debito di 300 miliardi di lire che Gaetano Caltagirone, amico di Andreotti, non era in grado o non voleva onorare con l’istituto centrale delle casse di risparmio.
Una quinta ipotesi lega l’attacco agli assetti al vertice della Banca d’Italia. Dove Andreotti voleva Ferdinando Ventriglia, allora a capo del Banco di Napoli. Guido Carli, dimettendosi nell’estate del 1975 da governatore, lo aveva indicato. Ma il direttorio aveva fatto una scelta diversa. Oltre che da Carli e Andreotti, Ventriglia era caldeggiato da Scalfari. Che condivideva con Andreotti anche il sostegno a Rovelli.
Rovelli, il “Clark Gable della Brianza”, era diventato industriale chimico nei primi anni 1970 grazie ai “pareri di conformità” del Cipe, il comitato per la programmazione econmica, che gli diedero accesso ai finanziamenti a fondo perduto, oppure a tassi agevolati da parte dell’Imi e di altro istituto analogo, Icipu. Specie nel 1974-1976, quando al Bilancio, il ministero del Cipe, siedeva Andreotti, nei due ultimi governi Moro.   

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