I tre racconti sono aperti da
un “Argomento”, a proposito di un processo per matricidio. Dove subito s’impone
ossessivo il sesso. Femminile - “la punta di Bellagio”, la villa Serbelloni” - e
maschile, “tra le gambe ciò un fagotto,\ che mi va di qua e di là”. Che poi
traboccherà in “Eros e Priapo” e nel “Pasticciaccio”.
“Novella seconda” è il
“tipico” racconto milanese di Gadda, di piccola borghesia, giudiziosa e non.
Anch’esso subito dominato da un altro tic gaddiano, il sarcasmo antisocialista,
“antirivoluzionario parolaio”, di “sorvegliati dalla polizia, poi abbandonati
anche da quella”: “Chi era avvocato, chi geometra, chi bocciato alla terza
tecnica, ma tutti saputi, tutti zazzeruti, tutti cravattati, tutti parolai,
tutti roboanti, e sopratutto tutti italiani”. Con l’impossibilità però di
secernere bene e male, tra “i reati e i fatti che non costituiscono reato” – un’impossibilità
metafisica, non personale: “Queste due classi di fatti sono disgraziatamente
contigue, come dicono i matematici. Vale a dire che è sempre possibile trovare
un termine della classe pi (reati) e uno della classe cu (non reati) tali che la
loro differenza sia una quantità evanescente”.
Un fondo critico
ineliminabile, da social scientist, che
qui esercita anche sulla violenza italiana, il terrorismo di cui gli italiani si
sono fatti periodicamente protagonisti, nel primo Ottocento come Carbonari, nel
secondo come anarchici, nel primo Novecento come fascisti e nel secondo, qualche anno dopo la pubblicazione della “Novella”, come brigatisti. Del terrorismo
come impotenza: “Il carattere peculiare di questi delitti italiani a differenza
di altri delitti politici storicamente celebrati nei trattai di magniloquenza è
la loro inutilità. E il fatto che la ferocia incanaglisse contro una ira
fittizia, contro un’inesistente tirannide: ora quando si fa del male inutile a
sé, si dimostra agli uomini e a Dio una sola cosa: di essere degli impotenti”.
Il terzo racconto, “La casa”,
germoglierà amaro nella “Cognizione del dolore”, la casa afflittiva. Qui invece
lo spirito è allegro. In una farsa, o autosatira, dell’insediamento del Dott. Ing.
Gadda a Roma. Dove condurrà esistenza sfarzosa, col titolo di “Altissima Serenità
Principe dell’Analisi e Duca della Buona Cognizione” – l’analisi è matematica,
la cognizione sarà del dolore – incurante del malanimo di parenti e conoscenti,
essendo diventato improvvisamente ricco, nonché abile. Capace insieme di tenere
lontani i postulanti della sua nuova ricchezza, disinnescare la vertenza legale
della petulante marchesa confinante, costruirsi la bella casa secondo principi
di stabilità e comodità, contro il progetto dell’architetto “razionalista”
Basletta. Gli umori ci sono. Compresi i problemi del tipo “I tramezzi degli
alberghi”: i tramezzi uniscono più che dividere, con elenco rabelaisiano dei vari
tipi di “rumori” compartecipati -
nell’attesa che qualcuno “de’ più quotati mobilieri di Lissone, Seregno, Meda e
Cantù… inventi e fabbrichi il letto non cigolante”.
Nel mezzo “Notte di luna”.
Quella in cui Carletto, qui socialista, contro “i signori, i militari, i preti”,
partecipa a una sorta i linciaggio di un automobilista, e dei suoi ospiti nell’automobile,
con la quale ha investito un gruppo di operai. Ma più volentieri partecipa alla
baruffa perché tra gli automobilisti ha un rivale in amore.
Carlo Emilio Gadda, Novella seconda
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