Heidegger ci prende gusto -
essere il dio anche dell’Oriente, perché no. E tempesta l’intervistatore di
domande, facendone poi tesoro nel saggio “Da un colloquio nell’ascolto del
linguaggio”, in “In cammino verso il linguaggio”. Saggio che Arena propiende
sia una autoconfessione più che un dialogo, un rimirarsi allo specchio, un selfie.
Questa edizioncina colma il
vuoto aperto dal dialogo heideggeriano col Giapponese riportando la versione
che del “dialogo” aveva trascritto Tezuka. Ma sappiamo già che Heidegger ci aveva
rinunciato, dalla famosa intervista “postuma” a “Der Spiegel”, “Ormai solo un
dio ci potrà salvare”: “Per cambiare modo di pensare è necessario l’aiuto della
tradizione europea e di una sua riappropriazione. Il pensiero viene modificato
solo da quel pensiero che ha la stessa provenienza e la stessa destinazione”.
In particolare, “esso non può aver luogo tramite l’assunzione del buddismo zen o
di altre esperienze orientali del mondo” – “supposto che la casa dell’essere
sia la stessa per il Giappone e per l’Europa…”, conclude Arena sardonico.
Il punto è, benché Arena lo
complichi in rompicapo, se sensibilità e logica si apparentino. Cui si arriva
da “Rashomon”, il film - la sola conoscenza che Heidegger manifesta del
Giappone. Che è tratto, spiega Tezuka, da un racconto di Akutagawa. Il quale lo
scrisse sotto l’influsso di Browning, del poema narrative “L’anello e il
libro”: il fatto (un omicidio) spiegato da testimonianze contrastanti.
Singolare che un’ora con
Heidegger abbia prodotto tanta filosofia, e tanti guasti. Tezuka era un
germanista e quindi il colloquio non ha avuto bisogno di interpreti, ma un’ora?
Per dirimere Oriente da Occidnete. “Alcuni filosofi giapponesi dicono che
Heidegger si è spinto avanti”, attesta Arena, “rispeto ai suoi colleghi occidentali,
nella comprensione dello Zen, ma non è penetrato a fondo nello stesso tessuto
dello Zen”. Per aver visto “Rashomon”? Tra l’altro perdendosi l’inquadratura principale,
quella di cui Tezuk e Arena fanno lunga trattazione. Di “una mano posata, nella
quale si fa presente … la realtà di uno sfiorare che rimane infinitamente lontano da ogni toccare” (Tezuka), Con commento di Arena:
“La mano dell’attore, in «Rashomon», non è neanche in primo piano, e ciò le
conferisce un valore Zen superiore, suggerendo analoghe concentrazioni nonsensical”.
Nonsense , insomma. Beh, può essere divertente.
Tomio Tezuka, Un’ora con Heidegger, Mimesis, pp. 70 €
5,90
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