Una testimonianza del gerarchismo giapponese, tanto stupido
quanto feroce. Sarcastica, come è nelle corde di Nothomb, e anch’essa feroce.
Tanto più in quanto si sa che è il racconto di una vicenda vera, vissuta dalla
stessa scrittrice, che, nata belga, di padre diplomatico, ha passato la prima
infanzia in Giappone, alla scuola giapponese, e di sé ricorda qui, quando il
padre lasciò Tokyo per Pechino: “Lasciare il Giappone fu per me uno
sradicamento”. Ma quando a ventidue anni vuole lavorare in un gruppo commerciale, scopre l’inverosimile, tra l’arrabbiato e il
divertito.
È il racconto di un mobbing generale a nessun effetto, se
non l’umiliazione, di sottocapo, capo, supercapo - il sottocapo è una danno longilinea, tipo
inconsueto a Tokyo, giovane, bellissima, curatissima, che ha aspettato dieci
anni per avere un avanzamento. Nothomb, tornata in Giappone a imparare “la
lingua tokyota degli affari”, assunta come interprete in una multinazionale,
viene indirizzata senza motivo ad altre funzioni, via via più inutili e
degradanti: il caffè, la fotocopia, il protocollo, il registro delle fatture,
il controllo delle note spese. Punita quando riesce a fare un lavoro da
interprete. Finendo per essere addetta alla pulizia dei gabinetti, anche
maschili. Rimproverata a ogni passo come
“occidentale”, sospettata perché “bianca”.
Nothomb non si dimette,
nell’etica giapponese sarebbe dichiararsi sconfitta: se ne va quando termina il
contratto. Ma ne ricaverà racconti devastanti, che la consacreranno nel mondo
delle lettere, a pochi anni dall’esordio: questo, il primo racconto
“giapponese”, 1999, ebbe il Gran premio romanzo dell’Accademia francese. È il
racconto di sette mesi di stupidità. Inframezzato da un’antropologia desolante
della donna giapponese, in una dozzina di pagine. Col ritornello anti-occidentale:
il Bianco suda, il Bianco puzza, non ha pudore, non è affidabile, e altri.
All’ombra del potere divino: “Stupore e tremori” sono prescritti al cospetto
dell’imperatore. E del suicidio: “Il
Giappone è il paese col tasso di suicidi più elevato”.
Detto questo, Nothomb sa di
sollevare un problema: “Il peggio è pensare che sulla scena mondiale questa
gente è privilegiata”. È il mistero nel mistero della grande e costante performance economica dell’impero. Ma non solo il gerarchismo lascia perplessi –
si può confermare per esperienza negli anni 1980. Fra le tante altre
incongruità due Nothomb certifica qui: il rifiuto della informatizzazione, di
cui il Giappone era all’avanguardia, e la spersonalizzazione del dipendente
nello stesso lavoro di gruppo che era la sua novità vincente in fatto di
management e di lavoro in fabbrica.
Amélie Nothomb, Stupore e tremori, Guanda, pp. 128 € 9
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