lunedì 11 marzo 2019

Il gerarchismo è feroce nel miracolo giapponese

Una testimonianza  del gerarchismo giapponese, tanto stupido quanto feroce. Sarcastica, come è nelle corde di Nothomb, e anch’essa feroce. Tanto più in quanto si sa che è il racconto di una vicenda vera, vissuta dalla stessa scrittrice, che, nata belga, di padre diplomatico, ha passato la prima infanzia in Giappone, alla scuola giapponese, e di sé ricorda qui, quando il padre lasciò Tokyo per Pechino: “Lasciare il Giappone fu per me uno sradicamento”. Ma quando a ventidue anni vuole lavorare in un gruppo commerciale, scopre l’inverosimile, tra l’arrabbiato e il divertito.
È il racconto di un mobbing generale a nessun effetto, se non l’umiliazione, di sottocapo, capo, supercapo - il sottocapo è una danno longilinea, tipo inconsueto a Tokyo, giovane, bellissima, curatissima, che ha aspettato dieci anni per avere un avanzamento. Nothomb, tornata in Giappone a imparare “la lingua tokyota degli affari”, assunta come interprete in una multinazionale, viene indirizzata senza motivo ad altre funzioni, via via più inutili e degradanti: il caffè, la fotocopia, il protocollo, il registro delle fatture, il controllo delle note spese. Punita quando riesce a fare un lavoro da interprete. Finendo per essere addetta alla pulizia dei gabinetti, anche maschili.  Rimproverata a ogni passo come “occidentale”, sospettata perché “bianca”.
Nothomb non si dimette, nell’etica giapponese sarebbe dichiararsi sconfitta: se ne va quando termina il contratto. Ma ne ricaverà racconti devastanti, che la consacreranno nel mondo delle lettere, a pochi anni dall’esordio: questo, il primo racconto “giapponese”, 1999, ebbe il Gran premio romanzo dell’Accademia francese. È il racconto di sette mesi di stupidità. Inframezzato da un’antropologia desolante della donna giapponese, in una dozzina di pagine. Col ritornello anti-occidentale: il Bianco suda, il Bianco puzza, non ha pudore, non è affidabile, e altri. All’ombra del potere divino: “Stupore e tremori” sono prescritti al cospetto dell’imperatore.  E del suicidio: “Il Giappone è il paese col tasso di suicidi più elevato”.

Detto questo, Nothomb sa di sollevare un problema: “Il peggio è pensare che sulla scena mondiale questa gente è privilegiata”. È il mistero nel mistero della grande e costante performance economica dell’impero.  Ma non solo il gerarchismo lascia perplessi – si può confermare per esperienza negli anni 1980. Fra le tante altre incongruità due Nothomb certifica qui: il rifiuto della informatizzazione, di cui il Giappone era all’avanguardia, e la spersonalizzazione del dipendente nello stesso lavoro di gruppo che era la sua novità vincente in fatto di management e di lavoro in fabbrica. 
Amélie Nothomb, Stupore e tremori, Guanda, pp. 128 € 9

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