“Storia, miti, realtà”, Febvre si propone di assemblare. Per un excursus che Donzelli propone come libro d’arte più che come trattato. Ma di fatto un saggio politico – curato in questa
edizione dal politologo tedesco Peter Schlotter. “Un capolavoro della geografia
storica” (Jacques Le Goff) che è una proposta politica. Per l’impianto e per i tempi:
il trattato fu scritto tra il 1931 e il 1935. Da subito dopo la cessazione dell’occupazione
odiata della Renania da parte della Francia, a garanzia del pagamento dei
debiti di guerra, che tanto contribuì alla crescita di Hitler. A Hitler
saldamente insediato a Berlino, e non amichevole verso la Francia. Di impianto
saldamente pacifista, malgrado i venti di guerra: una “storia della geografia”
per unire. Per unire due mondi che sembravano, dopo tante guerre, nemici a
morte.
Febvre rifà la storia del fiume.
Negli eventi e nei miti. E ne utilizza la geografia per il suo appello
pacifista: del fiume che unisce invece di divider, luogo di scambi, e di
incivilimento - fiume europeo, dalla pianura padana all’Olanda, lambendo
Svizzera, Francia e Germania. Ciò che è stato vero in questo dopoguerra, con la
Repubblica Federale di Bonn, la Germania renana: la quarta Germania si è fatta
sul Reno, che è fiume tedesco ma sta nel mezzo. Al suo tempo, invece, al tempo
di Febvre, questa conclusione era un azzardo.
Accingendosi a studiare il
Reno, che lo porterà in cattedra al Collège de France, scrisse a Pirenne che
s’affacciava “non senza timore su un pentolone di streghe dove ribolle la
strana, incomprensibile mistura di tre o quattro Germanie contraddittorie che
fanno la Germania e dal quale non smettono di fluire, inquietanti e temibili,
fiumi di ubriachezza, ambizione e bramosia”. E si cautela, definendolo un’area “situata
tra l’Est e l’Ovest”. Mentre il contrario si direbbe: è il cuore dell’Europa, da
passi e colli agevoli, il Septimer, lo Spluga, il San Bernardino, il Lukmanier,
e attraverso altri passi e colli dal lago di Como, dal lago Maggiore, alle
Fiandre e all’Atlantico. Un fiume che Hölderlin, che il Reno vede azzurro,
come Dumas dopo di lui, ldice “nato libero”, cioè in Svizzera, “con i fratelli
Rodano e Ticino”. E non ha diviso ma unito nella storia, fino alle guerre
franco-tedesche.
Fino a Filippo il Buono e
Carlo il Temerario, al fallimento dell’idea di regno borgognone al cuore
dell’Europa, che tanto avrebbe fatto bene al vino e alla cucina, invece del
Reich millenario inutile lasciato da Romolo Augustolo. Dopo ci saranno 97 stati
inetti, germanici di nome, francesi di lingua e modi. E il fiume divenne vittima
del romanticume e della tedescheria. Non prussiana, da caserma, ma ugualmente
eversiva d’ogni buon senso. Liberale qual era e buon cattolico, il fiume si
ritrovò avamposto dell’odio riformato, al tamburo del nazionalismo. Il flusso magico finendo vper rifluire nel regime sbirresco, il suo politico di
maggiore prestigio essendo Metternich: l’uomo dell’equilibrio liberticida vi
nacque a Winneburg, di cui nel 1832, cancelliere dell’impero d’Austria, volle
farsi feudatario, Clemens von Metternich-Winneburg – un decennio dopo aver
ricevuto in premio dal suo imperatore il ben più meritorio Johannisberg,
bandiera del Reno, con le terrazze di viti fastose.
L’attrazione è profonda della
Francia per la Germania. Anche tedesca verso la Francia, verso Parigi e la
Costa Azzurra. Ma culturale, estetica, vacanziera, non etnica. Mentre la Francia
vorrebbe essere tedesca. A lungo i nobili, tra il Reno e i Pirenei, non vollero
essere galli, come loro competeva per lo spirito rivoluzionario, ma franchi,
dice Febvre. È la verità più vera di questa storia del fiume.
Lucien Febvre, Il Reno, Donzelli, pp. LI + 212, ill.
ril. € 23,24
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