sabato 9 marzo 2019

Il Reno fa l’Europa


“Storia, miti, realtà”, Febvre si propone di assemblare. Per un excursus che Donzelli propone come libro d’arte più che come trattato. Ma di fatto un saggio politico – curato in questa edizione dal politologo tedesco Peter Schlotter. “Un capolavoro della geografia storica” (Jacques Le Goff) che è una proposta politica. Per l’impianto e per i tempi: il trattato fu scritto tra il 1931 e il 1935. Da subito dopo la cessazione dell’occupazione odiata della Renania da parte della Francia, a garanzia del pagamento dei debiti di guerra, che tanto contribuì alla crescita di Hitler. A Hitler saldamente insediato a Berlino, e non amichevole verso la Francia. Di impianto saldamente pacifista, malgrado i venti di guerra: una “storia della geografia” per unire. Per unire due mondi che sembravano, dopo tante guerre, nemici a morte.
Febvre rifà la storia del fiume. Negli eventi e nei miti. E ne utilizza la geografia per il suo appello pacifista: del fiume che unisce invece di divider, luogo di scambi, e di incivilimento - fiume europeo, dalla pianura padana all’Olanda, lambendo Svizzera, Francia e Germania. Ciò che è stato vero in questo dopoguerra, con la Repubblica Federale di Bonn, la Germania renana: la quarta Germania si è fatta sul Reno, che è fiume tedesco ma sta nel mezzo. Al suo tempo, invece, al tempo di Febvre, questa conclusione era un azzardo.
Accingendosi a studiare il Reno, che lo porterà in cattedra al Collège de France, scrisse a Pirenne che s’affacciava “non senza timore su un pentolone di streghe dove ribolle la strana, incomprensibile mistura di tre o quattro Germanie contraddittorie che fanno la Germania e dal quale non smettono di fluire, inquietanti e temibili, fiumi di ubriachezza, ambizione e bramosia”. E si cautela, definendolo un’area “situata tra l’Est e l’Ovest”. Mentre il contrario si direbbe: è il cuore dell’Europa, da passi e colli agevoli, il Septimer, lo Spluga, il San Bernardino, il Lukmanier, e attraverso altri passi e colli dal lago di Como, dal lago Maggiore, alle Fiandre e all’Atlantico. Un fiume che Hölderlin, che il Reno vede azzurro, come Dumas dopo di lui, ldice “nato libero”, cioè in Svizzera, “con i fratelli Rodano e Ticino”. E non ha diviso ma unito nella storia, fino alle guerre franco-tedesche.
Fino a Filippo il Buono e Carlo il Temerario, al fallimento dell’idea di regno borgognone al cuore dell’Europa, che tanto avrebbe fatto bene al vino e alla cucina, invece del Reich millenario inutile lasciato da Romolo Augustolo. Dopo ci saranno 97 stati inetti, germanici di nome, francesi di lingua e modi. E il fiume divenne vittima del romanticume e della tedescheria. Non prussiana, da caserma, ma ugualmente eversiva d’ogni buon senso. Liberale qual era e buon cattolico, il fiume si ritrovò avamposto dell’odio riformato, al tamburo del nazionalismo. Il flusso magico finendo vper rifluire nel regime sbirresco, il suo politico di maggiore prestigio essendo Metternich: l’uomo dell’equilibrio liberticida vi nacque a Winneburg, di cui nel 1832, cancelliere dell’impero d’Austria, volle farsi feudatario, Clemens von Metternich-Winneburg – un decennio dopo aver ricevuto in premio dal suo imperatore il ben più meritorio Johannisberg, bandiera del Reno, con le terrazze di viti fastose.
L’attrazione è profonda della Francia per la Germania. Anche tedesca verso la Francia, verso Parigi e la Costa Azzurra. Ma culturale, estetica, vacanziera, non etnica. Mentre la Francia vorrebbe essere tedesca. A lungo i nobili, tra il Reno e i Pirenei, non vollero essere galli, come loro competeva per lo spirito rivoluzionario, ma franchi, dice Febvre. È la verità più vera di questa storia del fiume.
Lucien Febvre, Il Reno, Donzelli, pp. LI + 212, ill. ril. € 23,24

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