C’è una ragione curiosa, tra
le tante che possono aver determinato il flop della serie tv “Il nome della rosa”
su Rai 1 – gli spettatori dell’ultima puntata ieri si sono quasi dimezzati
rispetto a quelli della prima: l’anticlericalismo. L’anticlericalismo vecchia
maniera, di monaci e monasteri depravati, sodomiti, sempre vecchia maniera, assassini,
corrotti, corruttori, ladri, eccetera. Su Rai 1, che tutto uno si spetterebbe
meno che fosse anticlericale.
Lo scarso seguito dell’ambiziosa
serie ha probabilmente varie cause. Avrà deluso qualcuno, se c’è ancora, che ha
letto il romanzo di Umberto Eco, il cui Medio Evo non è quello tetro e
demolitore della serie – l’abbazia di Fossanova come un tetro fortino, un
Bernando Gui assassino, eccetera. Più avrà deluso i cultori del genere, l’ex gotico,
ora – dopo “Il trono di spade” – fantasy, a metà tra horror-splatter e
catastrofico. Che è una ricetta semplice, ma attorno a una partizione netta tra
bene e male. Mentre i fedeli di Rai I, di “Don Matteo”, “Che Dio ci aiuti” e
altri programmi edificanti, si saranno trovati spaesati. Di fronte a una serie
sceneggiata e programmata per l’eterno Kulturkampf
antiromano anglosassone e teutonico – mai una gioia…
Si capisce che Turturro, Guglielmo
di Baskerville e co-produttore e co-sceneggiatore, abbia tentato di vivacizzare
lo stracco copione facendo lo Sherlock Holmes, brillante e veloce. Ma col
passare delle puntate anche lui è sembrato stanco: guardava fuori dall’inquadratura,
incerto.
Giacomo Battiato, Il nome della rosa, Rai 1
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