Come “un giovane calabrese
del Cinquecento, brutto, tignoso, rapito e fatto schiavo”, Gian Luigi Galeni, dai
turchi, fece in Turchia una carriera vertiginosa, diventando l’ammiraglio in
capo dopo la sconfitta di Lepanto, e fino alla morte nel 1595, di settantacinque
abnni. Il terrore dei cristiani, che aveva rinnegato. “Kalige Alì”, Alì la
spade, oppure “Kilic Alì”, Alì la sciabole. Dopo essere stato rinominato in
turco Uluds Ali, Alì il tignoso. Ciconte seglie di chiamarlo Occhialì, fra i
tanti nomi turcheschi che di lui circolavano nel Mediterraneo, una dozzina.
Ricostruisce dopo Lepanto –
dove era stato l’unico a battersi
calorosamente, avendo di fronte Gianandrea Doria - la flotta in due anni,
equipaggiandola anche con carene corazzate e molti cannoni. A tal fine adibendo
un quartiere, di calafati e arsenale militare, cui verrà dato in suo omaggio il
nome di Nuova Calabria. E riscatta presto la marineria turca impossessandosi di
Tunisi, sottratta agli spagnoli, e di Algeri.
“Storia e leggende del
calabrese Occhialì, cristiano e rinnegato che divenne re”, questa di Ciconte è
una sorta di apologia. È vantato anche per avere avuto tremila schiavi,
cristiani, tanti quanti il sultano. Perché li trattava bene, etc. - li
“trattava con umanità”, avrebbe detto Cervantes, che però non lo conobbe, per
sentito dire? Schiavi naturalmente presi in razzie. Protesse i cristiani dal
colera. Insomma, un benefattore. Gli si accredita anche la galanteria: quando
catturò piratescamente Emanuele Filiberto, duca di Savoia, non chiese un
riscatto ma solo di poter omaggiare la duchessa sua moglie, Margherita, sorella
del re di Francia. Sarà.
Ciconte sommarizza la vecchia
storia dell rinnegato ammiraglio scritta di Gustavo Valente, 1961, per le
edizioni Ceschina, Con qualche svarione – “arabo” per turco. Ma con rapida sintesi
del contest, della grande politica dell’epoca. Quella fallimentare della Spagna imperiale,
e quella riuscita di papa Pio V, cui si accodò Venezia, minacciata e vinta a
Cipro. Evoca anche, incidentalmente, le depredazioni in massa dei cristiani,
specie donne e ragazzi, per il mercato degli schiavi, con una politica costante
di pirateria, una guerra di corsa incessante. Ma con discutibile autocensura: non c’era l’analogo in Europa,
le scorrerie e un mercato di schiavi turchi e saraceni. Mentre se furono molti i
cristiani rinnegati, bisogna anche dire che furono molti gli islamici convertiti. Lo storico
dà solo conto che il flagello di una regione tutta coste come la Calabria erano
i turchi alla pari con i terremoti.
C’è troppa confusione, la
storia del Mediterraneo è da rifare, per quanto concerne il rapporto fra islam e
cristianità - Braudel non si poneva in questa ottica - fra Nord e Sud del mare..
Enzo Ciconte, Il Grande Ammiraglio, Rubbettino, pp.
93 € 10
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