Si pensa all’Africa, a Sud e a Nord del
Sahara, e se ne parla, come di una realtà sottomessa, ignorante, retrograda, da
salvare. Con professioni ininterrotte di antirazzismo, ma col vecchio atteggiamento
coloniale del negro malgrado tutto buono. Mentre è, come tutti, o di più forse
per essere povero, agile, acuto, e sempre sveglio, informato, aggiornatissimo,
questo si può testimoniare per lunga frequentazione. Di sana e robusta costituzione fisica, sarà
per la dieta povera. Più e meglio comunque del grasso lento europeo – lo stesso,
s’immagina, del latino negli Usa. E si può vedere: come il giovane africano
appena sbarcato a Pantelleria o altrove sa tutto delle leggi italiane e perfino
del linguaggio, mentre gli italiani più informati, i cooperanti, lo pensano,
non volendo certo, appena sceso dall’albero. Ma tradito dalla politica, in tutta l’Africa, senza eccezioni. Cioè dal
suo porsi nella politica.
All’ignoranza – e al disprezzo intimo -
si sopperisce con i buoni propositi. Che però possono essere, lo sono di fatto
in molte realtà, quelle della cooperazione, dannosi. Per la condanna implicita
che il paternalismo reca, il rifiuto di vedere la realtà, che è in effetti molto
brutta, perfino deteriorata rispetto al colonialismo di settanta-ottant’anni fa,
a Sud e a Nord del Sahara: tribale, asservita, poco applicata, dominata da
oligarchie ristrette, con i favori e con la violenza. Senza più riguardo per le
esigenze primarie delle popolazioni, della sopravvivenza: acqua, igiene, comunicazioni,
reddito. La storia dell’Africa indipendente è uan storia di vergogne.
La cecità totale pesa sull’immigrazione,
che si riduce a bega interna, italiana, tra Salvini e le anime buone. Dell’Africa cosa si può dire in breve? Che
l’africano non cerca compassione ma la utilizza. Non crede all’uguaglianza ma
ne sfrutta la presa sulla “buona” coscienza dell’europeo – il falso presupposto
russoviano sullo stato di natura, una imbecillità avallata dall’utopia, cioè
dalla cattiva coscienza.
In termini semplificati, avviene attraverso
il Mediterraneo quello che avvenne a fine anni 1980 in Albania e Romania. Quando
masse di albanesi e rumeni si precipitavano in Italia perché la credevano,
attraverso le tv che li illuminavano, il paese dei balocchi, di lustrini e vita
facile. L’africano è più avvertito e non si fa illusioni: sa che la vita e dura
ovunque e si accontenta anche di poco. Ma emigra all’avventura, quasi sempre
senza mestiere oltre che senza carte – l’africano che si è applicato agli studi
o a un’attività, viaggia senza problemi. E si sottopone a mafie di ogni genere,
tra la consorteria e il racket: bracciantato, commercio ambulante, elemosina, e
attività illegali.
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