Amore
–
L’amore, secondo Spinoza, “non facciamo
alcuno sforzo per liberarcene”. Perché, “primo, è impossibile, secondo, è
necessario che non ce ne liberiamo”. Ma c’è chi volentieri ci rinuncia.
E
insomma, si direbbe oggi, “mi confondo col mappamondo\ della bussola non so che
far”, se il doppio senso è inappropriato, quello letterale sì, del Rossini
matrimoniale. È il guaio dell’emancipazione, capita di scambiare
l’innamoramento per prostituzione, e la stronzaggine per passione. Per il
riserbo, cioè, il cane da guardia dell’emancipazione: si bandisce l’amore per
non essere romantici. Succede all’uomo con la donna, per antiche incrostazioni,
e ora alle donne con gli uomini, malgrado la fresca liberazione – che poi tanto
fresca non è, l’estasi viene alle sante in forma di solide tette già nel
Seicento italiano, senza ombra di uomo in giro. E si diventa sospettosi con le
regine, sentimentali con le squinzie. Il sesso per sé, per la durata e
l’intensità dell’orgasmo, non porta in nessun posto, se non a gioiosi
intervalli, come bersi un’aranciata. Non all’amore, all’avventura, alla
creazione, all’illusione della creazione. Il corpo ha certo un’anima. Estetica
per i greci, magica per i primitivi, spirituale e filosofica per i mistici,
ora, pare, psicologica. Ma, secolarizzato, vibra meno d’una partita di calcio, e non elimina le tossine. Certo,
non richiede coraggio.
Capitale - “Una
Borsa forte non può essere un club di ‘cultura etica’e i capitali delle grandi
banche non sono ‘istituzioni di beneficenza’ più di quanto lo sono i fucili e i
cannoni. Per una politica economica nazionale che persegue scopi ben di questo mondo, non possono essere che
una sola cosa: dei mezzi di potenza
impegnati in questo combattimento economico”. La difesa più strenua è di Max
Weber, nel secondo dei saggi su “La Borsa” scritti per una rivista socialista,
la “Gōttinger Arbeiterbibliothek” - questo nel 1896. Se il capitale si dà
finalità “etica”, ci riesce meglio. Ma il fine principale è la potenza: “Finché
le nazioni perseguono la lotta economica inesorabile e ineluttabile per la loro
esistenza nazionale e la potenza economica, anche se può darsi che vivano in
pace sul terreno militare, la realizzazione di esigenze puramente teorico-morali resterà strettamente limitata se ci si
rende conto che anche sul terreno economico è impossibile procedere a un
disarmo unilaterale”.
Francia-Germania – Si moltiplicano
i patti perché l’armonia stenta? È possibile. Ma non c’è migliore acquirente della
Germania della Francia. Più elaborato, più assiduo, più cedevole: ne rifiuta
ogni aspetto, in atteggiamento ostile e in armi, ma ne adotta ogni sospiro. In
affari come in filosofia. A partire dalle parole composte, che ubriacano
Derrida e Foucault – un po’ anche Barthes. Di Foucault l’a-voir, il pou-voir, il
potere di vedere - il pidocchio? il polso? – rasenta il sublime: la scoperta
della semantica è affascinante, l’a privativo col con con, coglione. Non c’è centimetro quadrato di Germania di cui i
francesi non s’approprino, le etimologie, la morfologia, la fonetica, le
genealogie dei ciabattini, parroci, maestri, alchimisti tedeschi, dei vaghi
esoteristi in cerca del diavolo, effetto esilarante della scoperta della comune
origine teutone prima che celtica, della testa quadra. Ma di più si potrebbe
produrre in italiano per la strepitosa inclusione che esso fa del sesso nel
possesso - Foucault questa se l’è persa. Non il solito gio-co con Giovanna, che
poi non è divertente, ma un filone di studi poderoso e anzi una cultura,
ramificata in scuole, centri, accademie, seminari e opere, scientifiche,
storiche, romanzate, con coda di film, un Umschlag
vero, il rovesciamento dal basso della filosofia franca e le sue guide
teutoniche Freud, Heidegger, Wittgenstein, e la conferma di Marx, effetto non
deprecabile. Opera rivoluzionaria per la migliore Italia, ammesso che afferri
la duplice accoppiata sesso-possesso, la sedizione che essa condensa, su cui
costruire imbattibile primato.
Si divaga se attorno si ergono mura levigate, ma
non è male, l’arte militare consiglia di prendere tempo.
Il Reno unisce ma divide. Oppure il Reno
divide ma unisce. Il fatto varia con le circostanze. Curiosamente sancito da
Lucien Febvre, uno storico, filosoficamente: “una identità che si afferma per
opposizione” – Febvre riflette sul Reno per un libro intero. Che potrebbe non
voler dire nulla, e allora Febvre precisa: “Vi è un Reno, nella sua totalità,
se il problema è quello di unire; ma vi sono molti e diversi Reni, se bisogna
chiudersi in sé o bisogna combattersi”. Da qui la “divisione”: “Diversi Reni
che talora unificano e talora dividono. Che cosa? Due mondi”. Dividono e unificano
Francia e Germania naturalmente, ma non solo. Un mondo è “l’estrema propaggine
dell’Europa occidentale”, che ricomprende la Francia. L’altro è “quella massa
illimitata dell’Europa di mezzo, saldamente legata alle terre massicce dell’Europa
orientale, e per quel tramite alle vaghe immensità dello spazio asiatico”. Ma
conviene bizzarramente – il saggio è dei primi anni di Hitler, che per prima
cosa aveva cominciato a fare i conti con l’occupazione francese della Renania,
a garanzia del pagamento dei danni di guerra – che il Reno può dirsi “tutto
tedesco nella misura in cui, esattamente, la Germania ha amato definirsi il «divenire»,
in cerca di orizzonti mutevoli, piuttosto che l’«essere», rinserrato nella
chiara consapevolezza di sé”. Bizzarramente elogiativo di una Germania chiusa.
Traduzione – “La traduzione reale è impossibile”, sosteneva una antica
traduttrice del cant che legava i beatnik
- una lingua falsa nella falsa comunicazione Usa, quindi vera. E: “Non si può
tradurre la droga”, l’addiction.
A maggio ragione ora che tutto è addiction, droga: politica, amori, religione,
famiglia, lavoro, internet, e non si è entusiasti ma addict?
Tribù – È storia vecchia, l’identità, il
sovranismo. Il romanzo storico è solo possibile in Italia per dire male degli
spagnoli. Come quando a Varsavia le puttane sono ungheresi, o ceche, e in
inglese la cattiveria è olandese, la slealtà, l’avidità: la tribù ha sempre bisogno
di spurgarsi.
Ma forse è più complicato. La dottrina dei
primati non è scema. Ma bisognerebbe
fare una storia anche della nazionalità dei brutti, sporchi e cattivi.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento