Puntare
sul gas come fonte di energia pulita è stata una grande invenzione italiana - del
gruppo Eni, allora pubblico. Mentre la Francia puntava sul tutto elettrico
nucleare, e la Germania su un mix di carbone e nucleare. L’Italia aveva anche creato
un’estesa rete di gasdotti, transeuropea e transmediterranea, mobilitando l’importazione
di oltre trenta miliardi di metri cubi l’anno.
Dal
primo accorco con Mosca, nel 1960, a fine secolo, l’Eni-Snam ha lavorato in posizione
di punta in Europa nel mercato dell’energia pulita: all’accordo del 1968 un
secondo ne è seguito con Mosca nel 1974, che raddoppiava le importazioni, e
nello stesso anno uno ne sottoscriveva con l’Algeria, per un eguale ammontare.
Mentre si apriva alle importazioni dall’Olanda e dalla Libia, e lavorava alle importazioni
dall’Egitto e dalla Nigeria.
Poi
è venuta la “liberalizzazione” del mercato del gas. Che in Italia ha
significato che tutti debbono guadagnarci, tutti gli amici: le aziende municipalizzate
e i distributori privati – alcuni, naturalmente. E l’Eni-Snam, ora
privatizzato, quindi in una logica di massimizzazione del profitto, non ha più
interesse a gestire pipelines per ingrassare gli amici. L’Eni è diventato anche
grande produttore di gas in proprio, in Egitto, in Mozambico e altrove, ma preferisce
venderlo.
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