giovedì 25 aprile 2019

Bambini alla discarica

Un racconto morale, sulla necessità per i genitori di prendersi cura dei figli. Con un lieto fine. Ma ossessivo, perfino violento. Di infanzie abbandonate di periferia, in una periferia del mondo, come in una discarica, da una discarica all’altra, tra senzatettto, sans papiers o immigrati clandestini, rifugiati di varie guerre, si menziona la Siria, bambine date in sposa e violate a undici anni, piccolo furti, piccolo trucchi, e trafficanti di adozioni e di documenti.
Labaki fa tirare alla fine una morale in tribunale, dove il protagonista, forse dodicenne forse quindicenne, condannato per aver accoltellato il marito stupratore della sorellina data in matrimonio, trascina i genitori: vuole fargli causa perché lo hanno messo al mondo. Ma l’apologo, insistito, è crudo. Con alcuni non detti anche ingiusti. L’ambiente cristiano – non si vedono barbe né veli. Che però nel mondo arabo non è alla barbarie che si vede nel film, stupidità, ignoranza. Beirut - il luogo non è detto ma si sa che è la capitale libanese. In estrema povertà, ma Beirut non è una città di 2-3 milioni di abitanti sulla quale gravitano altrettanti rifugiati, siriani, palestinesi e di altrove, la metà della popolazione del Libano? E non è crudele con gli immigrati, o meno che altri apesi più ricchi e meno affollati. Il contesto non è necessario? Sì, in un’opera d’arte. In un apologo. In una denuncia.
Un favolello amaro. L’impressione che Labaki lascia è della zingara che chiede l’elemosina col lattante in braccio addormentato tra gli stracci: di una forzatura. Tra pietà e ripulsa. Lavorando con i bambini è facile, ma è anche giusto?
Nadine Labaki, Cafarnao


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