Grillo conclude il suo progetto
per Roma Capitale chiudendo il centro storico. Per cacciare gli ultimi
artigiani e il commercio tradizionale, di offerta qualificata. Per farne un
gigantesco centro inerte alla Copenhagen, alla Stoccarda, per farci passeggiare
le folle dei selfie e degli stracci.
La Roma delle meraviglie Grillo riduce a
un gigantesco suk, una mangiatoia alla Firenze, di pizze al taglio e
bancarelle, una noiosissima e deprimente Porta Portese. A favore dei lupi della
finanza – la sola voce che sente il comico – che cinquant’anni fa investirono
nei bassi e i garage. Per affitti da sei milioni, al mese. E i fallimenti a
catena per non pagare le tasse.
Cinquant’anni Roma, che aveva
inventato le geniali isole pedonali, ha resistito alla carica di questi piccoli-grandi
speculatori, alla cacciata di ogni ancoraggio antico, o tradizionale, o attivo,
produttivo. Doveva arrivare il furbo nuovo del comico per spazzare via ogni
identità. Dopo gli affari dei fratelli Marra, del superconsulente Lanzalone,
del presidente De Vito, all’ombra di Raggi pulzella.
E lo stadio dell’As Roma naturalmente, monumento
imperituro al Comico del Nuovo – all’ombra dello studio Tonucci? L’odio di quest’uomo contro Roma è incomprensibile, se non per il fatturato.
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