Il protagonista innominato vi
converge, alla ricerca, dice, delle radici familiari che però non cerca e
probabilmente non ci sono, e ci sta come
in un deserto, benché comodamente in pensione.Tra incubi ingovernabili. Ma con
un nulla di fatto. Un’esercitazione, come quando al campo militare si fa bum
con la bcca. Senza vittime: una sorta di esame di coscienza – si chiamava così,
c’era ancora il catechismo – a 25 anni. L’età di Tamaro quando lo scrisse.
Proiettandosi in un innominato lui? Una carrellata in soggettiva, allo
specchio.
Con molto senno, sul lato magisteriale.
“La grazia del pensiero infantile” (pensiero?). “Io sono un clandestino” – che
però non è una bella parola, è vittimisitica, con i clandestini veri in mezzo.
“Il sentimento della morte mi accompagna da sempre”. Subito prima è stato un
bambino turbato di “”scorgere sotto il frastuono le trame sottilissime della
solitudine”. Un bambino che finge di “di
essere un bambino, più per delicatezza che per ipocrisia”. Proponendosi, sempre
bambino, di “ignorare le bassezze del destino”. Preoccupandosi subito dopo “perché
in vita non ho avuto mai la capacità di definirmi, o forse non l’ho fatto
soltanto per vigliaccheria”.
Nella formula del romanzo di
formazione, ma apodittico, non incerto o ansioso: “Il sole, trasversalmente,
tagliava ogni figura”… Lo salva l’onomastico, invece del barbaro compleanno –
“il regalo”, il vecchio oggetto familiare, “è dell’onomastico”.
È l’esordio di Susanna
Tamaro, allora ventireenne, regista neo diplomata a Cinecittà. Che però non
trovò editori, benché sponsorizzata da Claudio Magris per ragioni tribali. Poi
venne il debutto con “Vai dove ti porta il cuore”. Il recupero viene adesso che
Tamaro non scrive più. Per aficionados, per completare la raccolta.
Susanna Tamaro, Illmitz, Bompiani, remainders, pp. 124
€ 4,20
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