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martedì 16 aprile 2019

Il gioco stregato dei troni


Apertura trionfale dell’ottava e ultima serie, in notturna, in contemporanea con la prima americana, in americano sottotitolato, domenica notte, e poi ieri in prima serata, sempre con i sottitoli – la versione italiana va in onda il 22. Seguita da un documentario sulle bellissime location spagnole, di questa serie e delle precedenti, nel golfo di Biscaglia e in Estremadura. Un’autocelebrazione a tutti denti, pare che il mondo non attendesse altro. E pare che questo sia vero, non solo una trovata promozionale. Ma una serie più buia e stravagante delle altre, se possible. Inattendibile e inafferrabile, nel plot e nei personaggi. Sì, impossessarsi del regno, ma di quale regno, sono tutti indistinguibili. Onesto se si vuole, nel titolo originale, “il gioco dei troni”, ma poi?
Una Star War terrestre, senza la suspense interplanetaria e gli effetti speciali. Eccetto qualche dragone volante, che ci azzecca poco. Per di più con  pochi cavalli, anche pochi duelli, e molti dialoghi appiedati, in camera, allusivi, oscuri. Com’è possibile innamorarsene?
È questo il vero mistero del “game”: come mai? Che un centinaio di milioni di persone  non attendessero che questo, 17 e mezzo accertati nei soli Stati Uniti – con 5 milioni di tweet, i dieci più cliccati della domenica sera, e 11 milioni di contatti nel fine settimana? Che milioni di italiani siano stati svegli alle due, le tre di notte per l’anticipo atteso dell’ottava serie? Bisogna rivedere la sociologia: tutti guerrieri e tutte regine, sia pure col trucco.
Guerrieri e regine sono sempre stati i beniamini. Ma senza carattere, e senza attrattiva?
David Nutter, Il trono di spade (The Game of Thrones), Sky Atlantic

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