Vecchio tema di oratoria
epitalamica, in occasione di nozze, e scherzosa. Passato da Giovenale a San
Gerolamo e agli umanisti. Ma con punte polemiche, che Della Casa non risparmia,
prendendole da Platone, ma anche da Terenzio, Tibullo, Virgilio, Orazio. Cioè
dall’antifemminsmo dei femministi, per quanto anti di maniera.
Un dialogo-monologo, con qualche
arrière-pensée probabile, essendo il
costume di Firenze già nel Cinquecento alquanto gay. Si conclude grave con la morale-spiegazione
che gli uomini su cui grava il compito del governo debbono lasciare alla plebe
il compito di mettere su famiglia, con moglie e figli – la demografia deve
correre, Firenze era a corto di gioventù: i Medici ritornati dopo la Repubblica
s’ingegnavano a politiche demografiche. Ma fin lì il monsignore del galateo viene
svolgendo la topica antifemminile, da Platone eccetera – argutamente lo
riconosce.
Quaestio lepidissima, an
uxor sìt ducenda, se ammogliarsi o no, fu nel Cinquecento esercitazione
fortunata, sugli exempla
anticoniugali della Bibbia, specie dei “Proverbi”,
e sulla traccia delle freccette velenose surrettiziamente incuneate dal
Petrarca: “La donna, anche se, cosa rara, di costumi mitissimi, per la sua sola
presenza è un’ombra nociva”, eccetera. L’antica
questione classica diventa per gli umanisti un tema quasi obbligato, per
delimitare il loro spazio, della élite, rispetto a quello
dei comuni mortali. Con una tendenza
netta, osservava Rinuccini: “Gli
umanisti nulla sentono, ma ispezzato il santo matrimonio vivono mattamente”. La
donna è classicamente Pandora, vaso di tutti i mali (ma nei boccacceschi
travagli Pandora è un uomo, il primo da Prometeo tratto
dal fango).
L’opera è stata esumata e
tradotta in italiano da Enrico Ugo Paoli nel 1944, a Firenze appena liberata -
la guerra non interrompeva gli studi umanistici, che oggi si abbandonano dunque
per qualcosa di più osucro o grave della guerra. È stata scritta da Della Casa
a Venezia, nunzio di Paolo III Farnese dal 1544 fino al 1551: fiorentino ma in carriera
con i Farnese, era stato nominato da Paolo III arcivescovo di Benevento e
nunzio apostolico a Venezia. Dove fece un figio, si illustrò nella vita mondana,
nel palazzetto di servizio sul Canal Grande, introdusse il tribunale dell’Inquisizione,
istruì i primi processi contro i Riformati, e compilò un Indice dei libri
proibiti. Il garbo può essere inflessibile.
Giovanni Della Casa, Se s’abbia da prender moglie
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