Armeni
– Il massacro degli armeni, popolazione
cattolica, in Turchia divenne parte dela secna politica turca nell’instabilità
introdotta nel regime ottomano dai Giovani Turchi, il movimento liberale
costituzionale turco che nel 1908 riuscirà a imporsi al sultano Abdul Hamid II.
Dapprima in una sorta di free for all,
di licenza dall’ordine e la legge, poi in reazione al movimento liberale, con
l’appoggio delle autorità militari. Nel’autunno del 1907 nelle città di Konya,
Mersin, Adana, pogrom s’improvvisarono violenti, con l’assassinio di centinaia
di armeni. Il vice-console inglese a Konya, Doughty-Wylie, un tenente
colonnello eroe di guerra in Sud Africa (guerra boera) e in Cina (ribellione di
Tientsin), raccolse una posse di
militari turchi per pacificare le folle inferocite – fu per questo decorato, da
re Edoardo e dal sultano.
Ma era stato il sultano, lo steso Abdul
Hamid II, a indicare negli armeni i nemici del popolo, fin dal suo accesso al
trono, nel 1876. Promuovendo poi, negli anni 1890, una serie di pogrom sanguinosi,
con diecine di migliaia di morti, forse duecentomila. Con il costituzionalismo restaurato
dai Giovani Turchi, la comunità armena, forte in Cilicia, cominciò a
organizzarsi politicamente. Ma il colpo di coda del sultano l’anno seguente,
col sostegno dei generali, portò alla distruzione della comunità di Adana, con
almeno 20 mila morti accertati, e forse 30 mila – più un migliaio di assiri.
Per mano della popolazione più che dei militari.
Femminismo
contro femminista – Il suffragio femminile, di cui furono
avvocate radicali in Inghilterra a cavaliere del 1900 le suffragette di Emmeline
e Christabel Pankhurst, queste fino al terrorismo, e le suffragiste, trovò resistenze
anche tra femministe convinte come Florence Nightingale e Getrude Bell. Il
suffragio femminile in sé, non il suffragio universale, come da lì a poco si
comincerà a richiedere.
La limitazione era argomentata sulla base
delle leggi vigenti, in materia di proprietà, e sul principio del voto
responsabile. A questo presupposto obbedivano le leggi che legavano il voto al
censo: la presunzione era che il censo garantisse un minimo di acculturazione,
necessario per esprimere un voto libero e motivato. Su questo presupposto il
voto era stato gradualmente esteso in Inghilterra dal 1832, dal primo Reform
Bill, al 1884 da mezzo milione a cinque milioni di elettori. Un quarto della
popolazione maschile del reame.
Le leggi sulla proprietà passavano i beni
della donna al marito in caso di matrimonio. Essendo tre quarti della
popolazione maschile, o lavoratrice, esclusa dal voto, l’argomento era inoltre
che non si poteva duplicare la platea elettorale estendendo il voto alle donne,
sempre nell’ottica del voto con conoscenza di causa e responsabile. Anche il
voto limitato alle donne non sposate allo stesso modo che agli uomini, sulla
base del censo, veniva contestato: si sarebbe aperta la strada a persone non
necessariamente responsabili, quali casalinghe nubili o vedove, e donne
autonome ma di poca virtù.
Due donne eminenti, molto intraprendenti
in proprio, Florence Nightingale e Gertrude Bell, di famiglie importanti - la
prima di grandi proprietari terrieri, la seconda di grandi industriali – ma
liberali, lettori di John Stuart Mill, convinti dell’uguaglianza di genere, si
dichiararono contro il voto alle donne. Inferma e ritirata la seconda parte della
sua vita, Florence Nightingale (chiamata Florence perché nacque con i genitori
in vacanza a Firenze; la sorella minore, che nascerà a Napoli, sarà chiamata
Parthenope) rifiutò di sottoscrivere i manifesti di Pankhurst e anche le
attività più limitate delle suffragiste. Gertrude Bell, che successivamente nel
Medio Oriente ottomano e post-ottomano sarà personalità estremamente libera con
incarichi da statista, aderì alla Anti-Suffrage League promossa nel 1909 da una
ventina di “pairesses”, nobildonne mogli di membri della camera dei Lord, e fu
probabilmente l’attivista principale dietro la raccolta di 250 mila firme
contro il voto alle donne che la Lega riuscì a produrre all’esordio.
Germania – Fu dominante per un secolo, dalla Restaurazione post-napoleonica
a dopo la prima guerra mondiale, alla repubblica di Weimar. Nella cultura prima
che - e più che - nella politica. “Epoca fulgidissima”, attesta Croce nella “Storia
d’Europa nel secolo decimonono” e nell’articolo-saggio “La Germania che abbiamo
amata”, 1936. Ma non predestinata, aggiunge, né opera specifica della Germania,
o solo del popolo tedesco, “tanto è vero che passò” – “passò come l’Ellade di
Pericle, l’Italia del Rinascimento, la Francia di Luigi XIV”, ma passò. Esito
anche di una certa dipendenza, nota lo steso germanofilo Croce, ricevendosi
questa idea della Germania guida come “pia credulità e superstizione che tutto
quello che i tedeschi continuavano a scrivere avesse una serietà e una
profondità che non si ritrovava nei libri delle altre lingue”.
Populismo – È di sinistra più – e prima – che di destra. Di molti movimenti
popolari russi a fine Ottocento. E degli analoghi americani tra fine Ottocento
e primo Novecento. Anti-establishment e anche anarcoidi, anti-Stato. Lo è stato
in Europa di recente, prima che deflagrasse a destra con la Lega in Italia e
movimenti analoghi in Olanda, Inghilterra, Spagna, Grecia: con i primi anni del
governo greco di Tsipras, quelli del suo ministro delle Finanze Varoufakis.
Populismo
monetario – Viene da sinistra la Moderna teoria monetaria,
Mmt l’acronico americano, ossia la spesa pubblica senza limiti, per i poveri e per
investimenti, o del debito\spesa senza
limiti, se non l’autonoma decisione dello Stato. La moneta considerando solo
uno strumento politico.
La teoria è di origine americana. Ma è
stata proposta per ora solo in Europa. Dal ministro delle Finanze del primo governo
Tsipras, all’epoca della quasi insolvenza, Yannis Varoufakis. Che era a sua
volta consigliato da James K. Galbraith, un economista dell’università del Texas,
figlio del Galbraith della “società affluente” e del complesso
militare-industriale, nonché ambasciatore in India. Con Galbraith Varoufakis
era arrivato, nel momento più duro della tratativa con Bruxelles e col Fondo
monetario internazionale, a ipotizzare una moneta parallela all’euro, la “nuova
dracma”, con la quale alleviare i tagli drastici della spesa imposti dagli
accordi internazionali. Posizioni analoghe, di deficit spending a domanda, sostennero alcuni consiglieri di
Sanders nella campagna per le primarie democratiche che perse contro Hillary Clinton
nel 2016, e da alcuni esponenti nuovi del partito Democratico Usa, specie dalla
neo deputata Alexandria Ocasio-Cortez – la partigiana del tacco 12.
Elaborata in Germana sul finire
dell’Ottocento da Georg Friedrich Knapp, un economista cosiddetto “padre” della
“scuola cartalista”, in opposizione alla “scuola metallista”, della moneta stampata
a volontà dallo Stato per i suoi bisogni, senza alcuni limite sterno, di
riserve auree o altrimenti metalliche a cui rapportarsi, la teoria fu presa sul
serio nella fase in quel secolo di prolungata deflazione. Di debolezza dell’economia,
dei consumi, della produzione. Ebbe una ripresa subito dopo il crac del 1929. Poi è stata accantonata.
Di poco peso ora in Europa, è invece al
centro del dibattito negli Stati Uniti. Sempre a opera della sinistra politica,
che oppone la Mmt alla politica “di destra” delle riduzioni fiscali. Sia da
parte dei politici democratici al carro di Sanders sia, paradossalmente, da
parte degli economisti di sinistra suoi critici. Tra essi l’economista premio
Nobel Paul Krugman, due ex capoeconomisti del Fondo monetario internazionale,
Kenneth Rogoff e (ai tempi dell’austerità stringentissima, sull’Italia, la
Grecia, eccetera) Olivier Blanchard, e Larry Summers, l’economista che fu
ministro del Tesoro di Clinton, rettore di Harvard, capoeconmista di Obama. Che
non sponsorizzano apertamente la Mmt, anzi la dicono superficiale, ma le danno
il merito di opporsi ai “bisbetici del deficit” (Krugman), ai “fondamentalisti
dell’austerità” (Summers).
Westminster – Ovestmistero? Il romanziere Dominique Fernandez trae questa
dizione da Benvenuto Cellini, nella parte dei “Ricordi” in cui rifiuta l’invito
a Londra dello scultore Pietro Torrigiano, che cercava un aiuto per i tanti
lavori che il re d’Inghilterra Enrico VIII gli commissionava – da ultimo un
sarcofago per se stesso. Torrigiano, dice Cellini nel romanzo di Fernandez “La
société du mystère”, era venuto a Firenze per convincerlo ad “arricchire di
sculture in bronzo quella tomba, nell’abbazia di Ovestmistero, dove interrano i
loro re”. L’abbazia essendo benedettina l’inferenza Cellini-Fernandez si pensa solida - brutto servizio U. Eco ha fatto a san Benedetto col “Nome della rosa”.
astofo@antiit.eu
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