Una rivendicazione di
Pontormo e Bronzino pittori. Nell’insieme del primo Cinquecento. Di uno spicchio
di esso, a Firenze dopo la restaurazione dei Medici. Un tempo e un luogo in cui
l’interesse principale, politico e di strada, era l’arte, tra invidie e
congreghe di artisti, all’ombra di Leonardo morto e di Michelangelo romano. Tra
gli artefici manuali della “cosa mentale” per la quale Michelangelo da lontano
protestava presso il duca Cosimo, che all’artista desse statuto autonomo, fuori
dall’artigianato.
Una rappresentazione di Firenze
gay, al riparo dalle tante leggi contro la sodomia. Cosimo duca e poi granduca
dei Medici, figlio di Giovanni dalle Bande Nere e di Maria Salviati, personaggi
esimi, oscurati. La duchessa Eleonora de Toledo, altrove celebrata, ridotta qui
a piccola spagnola bigotta, e pondeuse,
ovaiola – ma la volta della sua cappella privata non inalbera stupefacenti
frontali amschili, dipinti dallo stessso Bronzino? Non si fanno più figli a
Firenze, Cosimo deve provare vari programmi demografici. “Romanzo fiorentino” è
il sottotitolo, da intendersi alla lettera,
e nel sottinteso che fa il fiorentino un “bucaiolo”.
Il filo conduttore è il
rapporto di Bronzino con Pontormo, che da apprendista lo ha iniziato alla
sodomia, fino alla vecchiaia e morte del maestro. Un modello che Bronzino
ripete con Alessandro Allori. Con Benvenuto Cellini di contorno, che anche lui
non si fa mancare il Bronzino, ma da sodomita professo di contorno, “Je suis
Benvenuto Cellini”, usa dire alla Catherine Deneuve, anche dei vent’anni che
passa con Francesco I in Francia.
Agnolo “Bronzino”, pittore
poligrafo, di versi e prose, ha scritto una vita del Pontormo e sua propria, in
cui l’autore s’imbatte spulciando tra gli scaffali di una libreria antiquaria
specializzata in libri d’arte, a Firenze, a Borgo Ognissanti. Una mattina, dopo
il ricostituente cappuccino servito nel bar adiacente da due poderose lesbiche.
Un colpo di fulmine per Fernandez: “Uno dei due pittori italiani del Rinascimento
che amo di più raccontava la vita dell’altro e, per contraccolpo, la sua”.
Facendo giustizia delle “malevolenze e calunnie di Giorgio Vasari”, storico
dell’arte “leale nella più parte dei suoi giudizi, salvo su Jacopo Pontormo, di
cui ha compromesso la reputazione con un verdetto perfido”.
Del resto, la fissa di
Fernandez è storicamente vera. Non ci sono belle donne nei quadri e tra le
statue di Firenze all’epoca d’oro – donne e non madonne. La Judith di Donatello
non è il solo fallimento di questo scultore? la Notte e l’Aurora di
Michelangelo donnone (hommasses) da far
paura?, può riflettere a un certo punto Alessandro, “Sandro” per il
maestro-amante Bronzino, Allori: “Né la mia Galatea, inqualificabile schifo, né
la Venere che lui stesso (Bronzino) ha dipinto su un cartone di Michelangelo,
né le Bagnanti o le Veneri di Giambologna possono smentire la sua asserzione
che il corpo femminile è indegno di fornire un soggetto all’artista”. Non è
vero, ma è l’argomento del sodomita Bronzino.
Che Fernandez può sostanziare con la constatazione: i veneziani fanno
gli uomini sempre vestiti, le donne nude, mentre i fiorentini, al contrario,
denudano gli uomini
Un monumento a Firenze. Lungo,
noioso, specie per la parte erotica, che è il filo conduttore, ossessiva senza
essere immaginativa. Forse per rispetto alla storia, all’aneddotica. Il cardinale
patriarca di Venezia scaglia le prostitute seminude per le strade per sviare i
veneziani dalla sodomia - “la vuole importata recentemente dalla Turchia” - e
avviarli a un programma di incremento demografico urgent. Bronzino, novello Candido
nella psedo-memoria, se lo fanno senza che lui se ne accorga, sia Pontormo che
Cellini. Pontormo disegna, a pietra nera, a sangugina, il Bronzino quattordicenne,
nudo, muscoloso,”con la prima e la sola erezione mai tentata in arte”, che
ejacula, “il glande all’altezza dell’ombelico” – e sogna che il ragazzo, fra un
paio d’anni, faccia a lui “il servizio”. Con lunghe serie, ripetute, di
sinonimi del pene: il “coso”, in italiano, per non dire il cazzo, la “coda”,
che in francese è il pene, e così via. “Turchificare” è il ritornello, goloso,
con qualche neologismo – o è idioletto, di genere? - che il Petit Robert non
registra, p.es. papaouter.
O forse in omaggio alla
poetica: che “la letteratura è impotente a rendere conto dei progressi della
seduzione erotica altrimenti che con cliché (a meno che non accetti di mostrarsi
molto grossolana)”. Allusiva quindi più che narrativa, giudicando “l’ellissi
più suggestiva e attraente che la minuzia descrittiva”. Ma di fantasia cruda,
come è delle storie gay, qui centrata sullo sverginamento. Di Bronzino, di Alessandro
Allori e, al culmine, di Pierino da Vinci. Con cui la relazione s’incanaglia,
dopo lo sverginamento, mentre lui s’inferma e muore come la Traviata.
È una fissa – è scritto, si
legge, come tale. Non ci sono donne, nemmeno una – Bianca Capello ci fa la
figura della escort. Rosso Fiorentino, Parmigianino, nessuno sfugge agli amori tra
uomini. Botticelli pure, che poi si è “coperto”
col nudo di Venere sulle acque, “per farsi perdonare tante vergini androgine, e
tanti ragazzi e angeli ancora più equivoci”. Anche, un po’, Donatello: fa statue
di cui s’indovinano i corpi, sotto lo scudo o l’armatura, corpi maschi. E un
uso estensivo della “Cipolla”, il poema che Bronzino venne scrivendo a lungo,
con “code”, anche qui, attorno al “bell’anello” al centro della cosa. Non c’è
Leonardo, Pierino da Vinci è però suo nipote, l’amore amato per sempre da Bronzino,
amasio di Luca Marini, l’ingegnere del duca Cosimo. E ci sono naturalmente gli
“Ignudi” della Cappella Sistina, la ventina di giovanotti che non c’entrano nulla
con la Bibbia, muscolosi e nudi, con vistose “code”, unico indumento la
fascetta, che era il marchio degli eroti al tempo di Platone. Alcuni di essi si
appoggiano col bracco a una montagna di glandi. Tutti bianchi eccetto il più palestrato,
che è bruno, Paolo di Pietro, “il giovane maestro palombaro che Michelangelo ha
follemente amato: si assentava dal cantiere – quante volte Giulio II gliene
fece rimprovero! – per andare a prendere con lui bagni di sole al bordo del Tevere, in un
posto dove si nuota e ci si asciuga nudi”, etc. .
É tuttavia un grande lavoro, appassionato.
Documentato, preciso. Un’opera colossale di ricostruzione delle arti, la
pittura e la scultura, nel loro farsi anche pratico: i committenti, le loro ragioni,
la visione dell’artista, i problemi etici e pratici di trasposizione del
soggetto, i riferimenti allora necessari alla tradizione classica (mitica) e confessionale,
dei testi sacri fin nelle loro sfumature, o significati riposti, la
realizzazione, con mezzi e mezzucci, l’accettazione, l’utilizzo. Fatti per lo
più trascurati dalle storie, che persò sono quelli che consentono la produzione
artistica: . La committenza, l’iconologia, il mercato.
C’è pure la “processione” per
la prima edizione delle “Vite” di Vasari, da palazzo Vecchio allo stampatore e
ritorno, con la copia portata in alto su un manto di raso. Il vanaglorioso
pittore di palazzo Vecchio, che si incaricherà nel “Supplemento” di “assassinare
il coro di San Lorenzo”, il capolavoro del Pontormo, l’opera con cui il duca
Cosimo puntava a strappare a Roma, nella chiesa di famiglia, il primato delle
arti – di cui il fiorentino Michelangelo aveva insignito la città dei papi. Non
era difficile: il Cinquecento italiano è una miniera d’oro a cielo aperto – al confronto con l’Italia oggi, poi, che vive di cialtronesche influencer, ritoccate al
photoshop - ma bisognava dedicarvisi. Fernandez lo ha fatto.
Un indice dei quadri, disegni,
affreschi, con rinvio alle pagine, agevola la lettura.
Dominique Fernandez, La société du mystère, Livre de poche,
pp. 684 € 8,90
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