Ma l’artiglio bernesco non si
fa addomesticare. Con se stessa: “Io mi concedo qualche libertà,\ io mi edifico
sulle mie rovine”. Benché chiusa su “Retecapri: tre canali\ che danno vecchi
film in bianco e nero”. O all’osservatorio piatto del caffè in piazza. Con
l’acufene dopo il morbo di Crohn. A macerarsi quando “gli handicappati salgono
sul furgone:\ tre Down, un paraplegico, un idiota…\ Che vergogna la mia
disperazione!” E col mondo: il Pd, il giornale, ahi, “i pezzi culturali”, radio
5 - “su radio 5 una pubblicità!”, oh scandalo. Ma sapendo della propria ipocondria
– anche se non nella sua interezza (l’ipocondria è l’egoismo totale). E un
finale drammatico: un ritorno all’adolescenza, alla vita senza maschera.
Traumatico, sotto l’apparente scorrevolezza, tra “chi ignora e chi invece ha nel cuore\ la comunione dei vivi e dei morti”,
citando da Raboni, “Quare tristis” – “la comunione dei vivi e de morti\ è senso
e storia dell’animo umano”.
Le quartine sono annotate.
Seguite da una petizione al sindaco di Milano perché apra un Centro culturale
intitolato a Raboni nella sua città, nel vecchio Lazzaretto. E da un saggio sulla “lingua
piana” di Raboni, riproposto dall’antologia che Crocetti e il “Corriere della
sera” ne avevano proposto nel giugno del 2012. Ma sapendo di tesserne la
litania: “È in questi anni del dopo-Giovanni\ che ho imparato a gridare senza
suono”.
Patrizia Valduga, Belluno. Andantino e grande fuga, pp. 128 € 14,50
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