Il testo di papa Ratzinger sulla
pedofilia nella chiesa, subito passato al gossip e dimenticato, prova forse
dell’incapacità del “Corriere della sera” di fare notizia, avrebbe meritato e
merita attenzione nel punto fondamentale. Là dove il papa tedesco, canonista e
fine teologo, spiega un mutamento radicale nella concezione etica. Questo il
nucleo di quello che è stato liquidato come il suo Sessantotto - la mutazione è
avvenuta, scrive, negli anni 1960.
Lo spiega critico. Da critico
del relativismo, cognitivo e morale. Che tanto ha criticato da papa in
cattedra. Ma non da buttare via:
Il suo pensiero sul Sessantotto, non da teologo, ma da uomo pratico e
vescovo, è presto detto – vide le cose che vedevano tutti: “Della fisionomia della Rivoluzione del 1968 fa parte
anche il fatto che la pedofilia sia stata diagnosticata come permessa e
conveniente. Quantomeno per i giovani nella Chiesa, ma non solo per loro,
questo fu per molti versi un tempo molto difficile. Mi sono sempre chiesto come
in questa situazione i giovani potessero andare verso il sacerdozio e accettarlo
con tutte le sue conseguenze. Il diffuso collasso delle vocazioni sacerdotali
in quegli anni e l’enorme numero di dimissioni dallo stato clericale furono
una conseguenza di tutti questi processi”.
Questo invece il punto nodale, sulla concezione della morale:
“Sino al Vaticano II la
teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalisticamente,
mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto. Nella
lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione,
l’opzione giusnaturalistica venne quasi completamente abbandonata e si
esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia”. Era un
scelta, ma fu perseguita in una certa maniera, fino a negare che ci possano
essere “azioni che sempre e in ogni circostanza vanno considerate malvagie”.
Una sorta di morale custom made, su misura, personalizzata. Un ritorno alla Bibbia, può aggiungersi, monco, poiché
evita il passo fondamentale del peccato originale. Ratzinger bizzarramente non
lo contesta, ma ne contesta l’esito: “Infine si affermò ampiamente la tesi per
cui la morale dovesse essere definita solo in base agli scopi dell’agire
umano. Il vecchio adagio «il fine giustifica i mezzi» non veniva ribadito in
questa forma così rozza, e tuttavia la concezione che esso esprimeva era
divenuta decisiva. Perciò non poteva esserci nemmeno qualcosa di assolutamente
buono né tanto meno qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative.
Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle
circostanze è relativamente meglio”.
Una deriva laicamente discutibile, contestabile. Ma
argomentata: “Una società nella quale Dio è assente - una società che non lo
conosce più e lo tratta come se non esistesse - è una società che perde il suo
criterio. Nel nostro tempo è stato coniato il motto della «morte di Dio».
Quando in una società Dio muore, essa diviene libera, ci è stato assicurato. In
verità, la morte di Dio in una società significa anche la fine della sua
libertà, perché muore il senso che offre orientamento. E perché viene meno il
criterio che ci indica la direzione insegnandoci a distinguere il bene dal
male. La società occidentale è una società nella quale Dio nella sfera pubblica
è assente e per la quale non ha più nulla da dire. E per questo è una società
nella quale si perde sempre più il criterio e la misura dell’umano. In alcuni
punti, allora, a volte diviene improvvisamente percepibile che è divenuto
addirittura ovvio quel che è male e che distrugge l’uomo. È il caso della
pedofilia. Teorizzata ancora non troppo tempo fa come del tutto giusta”.
Una deriva che la laica Maria Montessori rilevava nel
1916, “L’autoeducazione nelle scuole elementari”, come citata oggi, coincidenza,
da Armando Torno sul supplemento “domenica” del “Sole 24 Ore”. “Nel peccato
originale è raccontata questa storia eterna, dell’uomo che vuole fare da sé,
che vuole sostituirsi a Dio, emanciparsi da lui, e creare. E così cade nell’impotenza,
nella schiavitù e nell’infelicità. La mente che lavora da sé, indipendentemente
dal vero, lavora nel vuoto. Questa sua facoltà creativa è un mezzo per lavorare
sulla realtà. Ma se essa scambia il mezzo col fine, è perduta. Questa specie di
peccato dell’intelligenza, che tanto ricorda il peccato originale, di scambiare
il mezzo col fine, si ripete sotto ogni forma, come una «forza d’inerzia» che
pervade ogni vita psichica”.
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