che essa è, in questa
epoca social, un test-case da semiologia dello hater
– l’odiatore mediatico. Non si vede altra ragione della sua intemperanza contro
Caressa, per una partita che non ha visto.
Il cronista sportivo di
Sky deve tenere alti gli ascolti, che in una partita Juventus-Ajax sono
inevitabilmente juventini. Gli stessi che Sky ha sponsorizzato per anni. E poi
ha provato a recuperare uno per uno, dopo la batosta di Calciopoli – salvo,
fatta la retata con l’esclusiva Champions quest’anno, passare le partite di
cartello di questa squadra a Dazn, piattaforma creata apposta, per un altro
abbonamento (di questo non un cenno dal semiologo tv: troppo volgare, il business è volgare?). Dunque, non è con
Caressa che ce l’ha, e non solleva un problema di deontologia cronachistica: parla
male del cronista per (non poter) parlare male della Juventus, da torinista.
Il professore sembra uno
di quei tifosi della Roma – il romanista è il “tifoso deluso” tipo – writer
compulsivo che si consola sui muri e i portoni con “Magica Roma!”, dopo aver
scritto sul cassonetto “Sede Juventus”. Uno che crede che la sua squadra non
vince, specie con la Juventus, da tempo immemorabile, una sola vittoria in
venticinque anni di derby, perché gli arbitri non glielo consentono, non perché
non fa gol - una specie di Simone Inzaghi della semiologia.
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