mercoledì 24 aprile 2019

La semiologia tribale dell’odio

Si può dire anche, a proposito della semiologia tribale del professor Grasso
che essa è, in questa epoca social, un test-case da semiologia dello hater – l’odiatore mediatico. Non si vede altra ragione della sua intemperanza contro Caressa, per una partita che non ha visto.
Il cronista sportivo di Sky deve tenere alti gli ascolti, che in una partita Juventus-Ajax sono inevitabilmente juventini. Gli stessi che Sky ha sponsorizzato per anni. E poi ha provato a recuperare uno per uno, dopo la batosta di Calciopoli – salvo, fatta la retata con l’esclusiva Champions quest’anno, passare le partite di cartello di questa squadra a Dazn, piattaforma creata apposta, per un altro abbonamento (di questo non un cenno dal semiologo tv: troppo volgare, il business è volgare?). Dunque, non è con Caressa che ce l’ha, e non solleva un problema di deontologia cronachistica: parla male del cronista per (non poter) parlare male della Juventus, da torinista.
Il professore sembra uno di quei tifosi della Roma – il romanista è il “tifoso deluso” tipo – writer compulsivo che si consola sui muri e i portoni con “Magica Roma!”, dopo aver scritto sul cassonetto “Sede Juventus”. Uno che crede che la sua squadra non vince, specie con la Juventus, da tempo immemorabile, una sola vittoria in venticinque anni di derby, perché gli arbitri non glielo consentono, non perché non fa gol - una specie di Simone Inzaghi della semiologia.

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