Figlia di Vittorio Foa e di
Lisa Giua, Anna Foa è storica dell’ebraismo, in Europa e in Italia, nonché di
Giordano Bruno e altri eretici. Dopo che, di famiglia laica e non ebraica, se
non per l’ascendenza paterna, ha deciso di “recuperare l’ebraismo”, nella forma
sionista, anche in Israele, per qualche tempo patria d’elezione. Qui fa una
memoria familiare minuta, a volte inviluppata. Ma di personalità anche forti. Dello zio Renzo soprattutto, il
fratello maggiore della madre, allegro, scanzonato, anarchico, che sfugge a Mussolini
passando in sci in Francia, e poi muore nella guerra di Spagna, forse nella
liquidazione comunista degli anarchici. Del padre Vittorio naturalmente,
resistente sanguigno e longevo – col futuro suocero, il professore di chimica
Michele Giua, si ebbe da Mussolini le condanne al carcere più dure, quindici
anni l’uno (per il professore ne erano stati richiesti ventidue). Per aver
detto qualcosa ma fatto niente – la storia vera del fascismo che “ha fatto cose
buone” va riscritta, l’Italia si perdona facilmente.
Un racconto molto identitario,
come è dei nuovissimi selfie, poco
storicizzati. Anche se propone casi di identità fallate. Leo Levi, il
musicologo klezmer, che in carcere aggrava la posizione di Vittorio Foa, è
anche l’animatore a Torino di un gruppo sionista, cui partecipa entusiasta la zia
Anna, sorella maggiore di Vittorio: traditore in tutto. La stessa zia Anna che,
brillantissima al liceo, viene tolta dalla scuola perché ha rifiutato il
matrimonio proposto dai genitori. E lascia sfuggente invece il ritratto
della madre, Lisa Giua Foa, forse il personaggio più poliedrico. Una che a
diciott’anni va a scalare il Cervino, contro il divieto dei genitori, che si fa
scaricare dal treno le armi di cui è staffetta per la Resistenza da un soldato
tedesco, che lavora con Togliatti a “Rinascita”, che scrive in russo e in
inglese, che capisce prima degli altri, e senza bisogno dell’Ungheria, cosa non
va nel Pci.
Anna Foa, La famiglia F., Laterza, pp.175 €16
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