Durissimo atto d’accusa di
Simona Izzo e Ricky Tognazzi, violento, al “sistema Forno”, al business che si era instaurato venti
anni fa contro la famiglia, come lotta agli abusi sessuali in famiglia contro i
bambini. Che tante famiglie e tanti bambini ha disgregato, nel milanese, a Roma
(la Procura di Tivoli s’inventò perfino un rito satanico scolastico), in
Sicilia. A vantaggio di una serie di donne spregiudicate, ginecologhe,
psicologhe, neuropsichiatre, al coperto del solito giudice carrierista della
Procura di Milano, nonché delle giudici senza giudizio, e forse colluse in un
sistema corrotto di affidamenti e adozioni, del Tribunale dei minori. Nel
quadro di un assalto femminista alla famiglia come istituzione. Nel giorno del Congresso mondiale delle famiglie
a Verona. E della difesa cui Giulia Bongiorno è stata obbligata che ha osato
menzionare donne “isteriche” senza virgolette.
Una storia di abusi, a danno
di una bambina. Di tutte donne: consulenti,
giudici, madri, figlie. Una testimonianza quindi, involontaria?, anche
della condizione impoverita della donna in Italia, vittima di un perverso
femminismo. Nel caso migliore disorientante, ma le più per i soldi e la
carriera. Di maschile perverso c’è solo il Tribunale, tre giudici che
condannano il padre pur sapendolo innocente, a una pena perfino assurda - ma lì
conta la funzione più che il genere: il giudice italiano si ritiene assoluto, legibus solutus, fa quello che gli pare.
Lo sceneggiato è catartico
per questo, per prendere decisamente parte. Ma con un amaro retrogusto,
purtroppo comune in Italia a ogni opera riparatrice di una calunnia o un
sopruso: si sa, più o meno, chi sono le vittime, anche i minori, mentre i
persecutori, in questo caso anche sfruttatori, e anzi “mostri”, sono protetti,
niente nomi, niente addebiti, niente punizioni. Ma non se ne può fare colpa
agli autori: è la giustizia che non ha ritenuto di procedere contro consulenti
e giudici calunniatori di progetto, per il business delle case-famiglia
(affidi) e per quello delle adozioni.
Lo sceneggiato si ambienta
anzi a Roma per evitare la seppure minima indicazione in questo senso. Ed è un
peccato – il fatto vero su cui lo sceneggiato è costruito avvenne a Milano,
dove la cosa non fu episodica, ma parte di un business redditizio e spregiudicato, all’ombra della Procura
incorrotta di Borrelli, molto milanese. Nel film, ma anche nella storia vera, contro il padre la psicologa diagnostica alla
bambina un PTSD, il disordine da stress post-traumatico, post traumatic stress disease, che lei stessa le ha
causato… E questa donna insegna alla Statale di Milano.
Simona Izzo-Ricky Tognazzi, L’amore strappato, Canale 5
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