Non è un novità, Ratzinger silura Francesco sia
che parli sia che non parli. Ora anche su un argomento non politico – non divisivo
- come la pedofilia. È la tara dei media che si vogliono impegnati, vaticanisti
compresi: superficiali e complottisti. Non sanno dire altro - è
la sindrome Pd, ex Dc. Un altro
giornalismo quanto avrebbe scoperto e raccontato sulla scia del papa emerito? Perché dice molto che non si sapeva, e lo spiega anche.
Ratzinger
è sempre quello, che lamenta il lassismo e il relativismo. Ma dice anche cose. Che
negli anni 1960 il giusnaturalismo fu abbandonato, il riferimento tradizionale per
definire la teologia morale cattolica, a favore della Sacra Scrittura: “Nella lotta ingaggiata
dal Concilio per una nuova comprensione della Rivelazione, l’opzione
giusnaturalistica venne quasi completamente abbandonata e si esigette una
teologia morale completamente fondata sulla Bibbia”. Si affermò cioè “la tesi
per cui la morale dovesse essere definita soltanto in base agli scopi dell’agire
umano”. Per cui non ci sono più “azioni che sempre e in ogni circostanza vanno
considerate malvage”.
Tra queste quelle
sessuali. Che diventarono dominanti nei seminari. “In diversi seminari si
formarono club omosessuali che agivano più o meno apertamente
e che chiaramente trasformarono il clima nei seminari. In un seminario nella
Germania meridionale i candidati al sacerdozio e i candidati all’ufficio
laicale di referente pastorale vivevano insieme. Durante i pasti comuni, i
seminaristi stavano insieme ai referenti pastorali coniugati, in parte
accompagnati da moglie e figlio e in qualche caso dalle loro fidanzate. Il
clima nel seminario non poteva aiutare la formazione sacerdotale”.
Questo avveniva specialmente
negli Stati Uniti. Roma ne fu informata. Una Visita pastorale fu disposta, ma
portò poche informazioni. Una seconda Visita fu effettuata, e la cosa cominciò
a emergere. Ma non c’era una procedura o un criterio per intervenire, etc. - la
storia recente.
Quanto è vero dell’analisi di Ratzinger? Senza
andare lontano, nelle stesse ore in cui il suo testo veniva recapitato al “Corriere della sera”, il
settimanale “La Lettura” dello stesso quotidiano raccoglieva a Firenze parole
quasi identiche dal politologo francese Olivier Roy, più noto come islamista.
Roy, protestante di nascita, ricorda a Marco Ventura come venne alla politica,
nel 1968, sull’assioma “l’individuo che desidera è il fondatore dei valori e
della morale”. In sintesi: “La nostra rivoluzione era la fine dell’ipocrisia
dell’ordine morale. Lottavamo contro la borghesia che si finge cristiana e fa
abortire clandestinamente le domestiche…”, Roy va avanti con questi argomenti
da polemista, non pentito né critico. Ma preciso sulle cose del movimento: “Lo
slogan era: «Il desiderio per tutti». Anche per i bambini. Era forte la
tendenza alla pedofilia”. Cohn-Bendit, si può aggiungere, leader del Sessantotto
a Parigi, poi maestro d’asilo autogestito a Francoforte, nel 1978 già scriveva
delle memorie, in cui non ricorda nulla, se non le seghe che s’era fatte fare dai
bambini.
Non è tutto. Roy, giovane protestante incuriosito
dalla reazione dei cattolici (“i coetanei cattolici li capivamo poco: c’è la
pillola e lasciate ancora che si controlli cosa fate a letto?”), ancora più
meravigliato assiste a quella che chiama “l’auto-secolarizzazione”: “I preti si
tolgono l’abito, la messa non è più in latino, non c’è più l’inferno… Si
traducono i valori religiosi in valori laici: la dignità, la libertà, la vita.
Nasce la teologia della liberazione: non si può cercare la salvezza personale se
la società non è stata prima liberata”.
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