mercoledì 17 aprile 2019

Secondi pensieri (382)

zeulig


Cultura di massa - Lungo il percorso per visitare San Pietro, un flusso ininterrotto di visitatori che entra dalla porta sinistra ed esce dalla destra, dopo l’uscita incontra una mostra a ingresso gratuito, su un dipinto di Leonardo, molto segnalata, con striscioni e teleri giganti. Ma pochissimi entrano, il genere insegnanti, in pensione. Nemmeno per dare un occhiata, vedere di che si tratta. La cultura di massa non esiste, è l’incultura?
Il turismo è ben cultura di massa. E porta a scoprire nuove realtà, anche se in modo superficiale, limitato. O non piuttosto ne è la curvatura? La sterilizzazione della naturale curiosità, oltre i limiti della propria conoscenza.
Leonardo è comunque un nome. Ma non un nome da social, e dunque non esiste. La cultura di massa è una limitazione della cultura, non una frontiera che comunque si apre, sia pure per uno spiraglio.

Eternità – Non ha prima né dopo. È l’immortalità che Pavese fa declinare a Calipso in “Dialoghi con Leucò”: “Di morire non spero. E non spero di vivere. Accetto l’istante”. Con un sottinteso, però, di speranza – fiducia, serenità: “Che cos’è la vita eterna se non questo accettare l’istante che viene e l’istante che va?”, Calipso chiude le obiezioni di Odisseo.

Identitità – leghismo, sovranismo - L’insorgenza è identitaria – non da ora, ma ora dilagante, “giustificata”. In un filone chiuso, esclusivista. Accorto, “furbo”, tra i lombardi, quasi un partita di dare e avere. Ingenuo, ridicolo, tra i veneti, nella forma e nella sostanza – con le targhe stradali doppiate in dialetto, che è il più italiano dei dialetti.
C’è un ritorno del nazionalismo ottocentesco, cessati i vincoli unitari del dopoguerra, della guerra fredda, dei blocchi. Nel senso della ricostituzione di una consistenza etnica, propria. È l’appropriazione della tensione terzomondista, della riqualificazione dei reietti, sulla scia dell’“Orfeo nero” di Sartre, e di Frantz Fanon: i subaltern studies, le afroamericane “radici”, l’ebraismo sionista, divisivo, impositivo, il cosmopolitismo critico di Jumpa Lahiri (La nuova terra” – “Unaccustomode Earth”) - che trova pratica in Italia, nell’adozione dell’italiano, lingua marginale ma forse neutra, da parte di molti scrittori stranieri. Ma più cauto (circospetto) politicamente: la deriva leghista (esclusivista), il veteronazionalismo sionista, catalano, albanese, fiammingo. Dell’identità come isola, affermazione esclusiva e impositiva, imperialista. Anche attiva, e comunque passiva: solidarietà identitaria oltre ogni limite,assortita di jngoismo e degli otto-novecenteschi primati.   

Quotidianeità – Il peso dell’ananke è in funzione inversa dell’attività. Dei carcerati. Dei pensionati, della sindrome da depressione. Si fanno tante più cose indigeste, inutili (la burocrazia), irritanti, faticose, in tanta maggiore quantità e e minore perso o fatica quanto più si è impegnati in un’attività necessaria (il lavoro, l’impegno), se non soddisfacente. Con tanta più leggerezza.
È uno degli effetti della prigione, nelle memorie che se ne leggono. E delle vecchiaie. È il paradosso eleatico di Achille e la tartaruga, della freccia del tempo al ralenti.

Sessantotto – Un movimento borghese, da tutti i punti di vista. Una contestazione borghese della borghesia.
Un’autorivoluzione? Centripeta, introspettiva. Nel senso del tutto è permesso, e tutto è buono e tutto è giusto sì. Ma non tutto: il politicamente corretto è il suo esito. Una rivoluzione perbenista, anche nella trasgressione, ludica, lirica (nel senso proprio: cantata).

Statue – Sono oggetto di passione erotica, sotto l’estetica. Una passione nella quale s’intersecano due filoni tematici del pensiero debole, arrivato cioè alla conclusione che la filosofia, essendo narrazione, è fantasia (passione, gioco, paura, sogno, bugia): quello erotico, forma parossistica della curiosità secondo la no­ta formula “senza erotismo niente pensiero”; quello antiqua­rio, o culto delle pietre, della cartapecora, delle rovine — accu­mulate ai piedi dell’angelo nel quadro di Paul Klee, ma anche senza angeli —, che è al centro dell’ultrametafisica: l’essere ac­cade, è cioè in briciole, e ne abbiamo illustrazioni celebri a ope­ra di Elias Canetti, il cui stimato sinologo professor Peter Kien non ama tanto i libri come quando vanno a fuoco, e di Bruce Chatwin, con quell’imprevedibile Utz il cui amore per le sta­tuette di ceramica si realizza quando può distruggerle. Marcel Schwob fa dire all’Attore di “Spìcilège” che l’amore riguarda non essere umani ma statue e marionette: allo stesso modo di don Chisciotte, il quale pretendeva che le marionette di maestro Pe­dro fossero vive, gli uomini vivrebbero l’amore come uno spet­tacolo. Altre intersezioni di questi due vettori danno la filoso­fia del bovarismo di Jules de Gaultier e Georges Palante (una certa dose d’intelligenza provoca nell’animale umano un’eb­brezza speciale, per cui il mondo delle idee è il mondo dell’amo­re libero) e la teoria di J.K. Huysmans secondo la quale non esi­stono corpi nudi ma corpi svestiti dall’occhio umano — una de­riva dell’idealismo.

Le statue sono a metà fra le ombre e la realtà nell’apologo plato­nico della caverna. Sono le ombre di statue. O di marionette, dipende dalla traduzione - la filologia è ardua: appena un decen­nio prima dei fatti narrati l’accusa di traduzione errata aveva valso alla Sorbona la condanna a morte al tipografo platonista Etienne Dolet, ex allievo di Pomponazzi a Padova. Insom­ma il cinematografo odierno. Sono la “Statue ìntérìeure” di Fran­cis Jacob, “scolpita fin dall’infanzia” e “modellata per tutta la vita”, una sorta di angelo custode severo: sarà di pietra il Commendatore che terrorizza don Giovanni, e l’amante che sghignazza dalla tomba nel racconto di Ann Radcliffe. “Ave della nostra conoscenza”, mobili e immobili, “mani piene di terra e terra piena di mani”, o anche “zoccolo duro del lieve desiderio, nel profondissimo delirio di Michel Serres, “Statues”, le statue sono le cose, grandi assenti della storia, della lingua, della filosofia e della scienza umane, precedono la lingua, de­marcano l’ominità (paletti della storia?), testimoniano una tri­plice stabilizzazione, del soggetto con l’oggetto e la morte, le nostre idee vengono dagli idoli, lo dice la parola stessa, e infatti ne rimbalzano, come dei revenants“menhir, dolmen, crom­lech, cairn, piramide, pietre tombali, casse da morto che mima­no mia mamma la Terra, oggetti muti, statue sollevate o fanta­smi in piedi, risuscitati dalla cassa nera, quando si rompe il co­perchio che abbiamo creduto di abbassare per sempre, cippi, ef­figi di marmo, granito o gesso, rame o bronzo, acciaio, allumi­nio, materiale composito, piene, dense, pesanti, immobili, mas­se segnaposto indifferenti al tempo, bucate, trapanate, cave, ri­divenute scatole, vuote, leggere, bianche, mobili, motori auto­mobili che errano nel tempo indifferenti ai luoghi, portando i vivi”.

Sono manifestazioni di manierismo, sostiene Piero Camporesi: “L’erotismo barocco, ben sapendo che la costanza era ‘folle virtù’, coltivava un’inclinazione feticista per l’oggetto immobi­le, silenzioso, immutabile”. Simmel dice invece che le statue sono figure “concrete ideali”, ossia “l’idea di una vita determi­nata resa concreta”, ma che per questo danno l’idea di una “so­litudine infinita”.

L’amore ideale scende talvolta deliberatamente all’amore di sé. Francisco Quevedo, poeta massiccio e chiacchierone, imma­gina un uomo che si delizia in un bagno di polvere di marmo e diventa statua. Di Pigmalione si racconta una versione in cui l’artista s’innamora dell’opera sua, una statua d’Afrodite – poi chiamata Galatea, nel Settecento.

Uguaglianza – Non c’è niente di più iniquo che il trattamento uguale di persone diverse”, Thomas Jefferson.

Wieland, Cristoph Martin – Svanito nella memoria è questo raro illumini­sta tedesco, uscito perdente dallo scontro con il romanticismo e con le sette segrete - per questo in ombra? Conciliava ragione e natura. E ragione e immaginazione: “Sembra curioso che due inclinazioni tra loro così contraddittorie come l’attrazione per il meraviglioso e l’amore per la verità siano ugualmente naturali, ugualmente essenziali per gli uomini, ep­pure è così”.


zeulig@antiit.eu

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