lunedì 27 maggio 2019

A Di Maio non resta che il Pd


E adesso, povero Grillo? Sarà difficile la ripresa del governo con un partner che raddoppia i voti e l’altro che li dimezza: le condizioni di partenza si sono ribaltate.
La crisi di governo è inevitabile: Salvini fa il moderato, ma non vorrà – non potrà - non imporre la sua agenda: grandi opere e riforma fiscale per i redditi medio alti. L’esito della crisi è però uno solo, dal punto di vista costituzionale, quindi del presidente della Repubblica, cui tocca la decisione: un governo 5 Stelle-Pd. A guida forse neutra, o tecnica,  o costituzionale, quello che si vuole, ma è l’unico possibile in Parlamento in alternativa a quello in carica. Il centro-destra non ha i numeri – ed è su questo che Salvini spiega il “non possumus”, in realtà inteso a sfiancare Berluconi.
5 Stelle e Pd hanno più punti di contatto che non 5 Stelle e Lega: sul sociale, sull’ambiente, sull’accoglienza o immigrazione, sulla stessa politica europea. Mai 5 Stelle dovrebbero abdicare alla politica del “nuovo”, su cui si fonda la loro maggioranza relativa in Parlamento. 

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