Quattro interventi sono qui
raccolti. Due scritti apparsi nella raccolta del 1997, “Cinque scritti morali”
(“Quando entra in scena l’altro” e “Migrazioni, tolleranza e intollerabile”,
sulle “migrazioni nel terzo millennio”), e due conferenze pronunciate all’estero
e non tradotte. Quella di Nimega, il 7 maggio 2012, alla premiazione con la
medaglia commemorative della pace di Nimega, intesa come primo trattato di pace
europeo, nel 1678-79, una serie di trattati in realtà, dove Eco fu presentato come “vero europeo” dal sindaco Dijkstra,
fa una utile distinzione, importante, tra immigrazione e migrazione. Quella di
individui, che accettano e fanno proprie le regole del paese che li accoglie, questa
di orde o popoli, che fanno l’opposto, “radicalmente trasformano la cultura del
territorio che hanno invaso”.
Sul che fare invece subentra
la confusione. Nel caso dell’Europa al volgere del Millennio, Eco il fenomeno dice
di migrazione: “Il Terzo Mondo bussa alle porte dell’Europa, e entrerà anche se
l’Europa non è d’accordo”. L’Europa sarà presto “un continente multirazziale”. Una tesi contestabile,
sul piano demografico e territoriale, ma possibile. Subito poi però confonde i piani,
dell’analista (storico, demografo, demologo) col profeta o politico. Col
paraocchi del politicamente corretto. “Nei prossimi anni ogni città europea sarà
come New York o come alcuni paesi latino americani”. Cioè mista, di differenti
popoli e culture, che “coabitano sulla base di alcune leggi in comune e di una
comune lingua franca, che ogni gruppo parla insufficientemente bene”, ma ognuno
separato dagli altri. Si direbbe un’analisi negativa. Tanto più che le orde
porteranno fondamentalismi: “Nel corso di un tale processo di migrazione gli
europei dovranno fronteggiare nuove forme di fondamentalismo, espresso da
differenti culture e religione”. Ma non c’è rimedio. Il rimedio è di accettare
tutto, divisioni, fondamentalismi e dispetti reciproci. Assurdo - New York funziona in un paese integrato, altro che se integrato: identitario.
Sempre in questa conferenza,
Eco introduce – senza citare Popper – il problema dei limiti alla tolleranza che
Popper ha posto in “La società aperta e i suoi nemici”: se l’intolleranza sia da
tollerare. L’intolleranza dice naturale: “L’intolleranza ha radici biologiche”,
negli animali si esprime come territorialità, nel bambino è spontanea, eccetera.
La tolleranza va insegnata, se non come accettazione, almeno come conoscenza
della differenza. Ma con un limite. Anzi due. La tolleranza non si estende all’intolleranza.
E non deve finire in relativismo: tolleranza “non significa che dobbiamo accettare
ogni visione del mondo e fare del relativismo etico la nuova religione europea”.
Senza limiti però all’immigrazione, o
migrazione.
A Eco piacevano i manifesti,
l’intervento giorno per giorno, l’impegno intellettuale. E l’uso dei suoi
scritti come manifesti - questi sul razzismo dopo quelli sul fascismo “eterno” - non gli sarebbe dispiaciuto. Ma allora come giornalismo di retroguardia, da talk-show: parole semplici, temi
semplificati. Col vezzo, benché fosse conciliante di natura, all’opportunismo che ne
deriva – molcire il pubblico. Al secondo punto del breve scritto sulle “migrazioni
del terzo millennio”, un intervento a un convegno francese, dice – diceva a
marzo del 1997: “Trovo più pericolosa l’intolleranza della Lega italiana che
quella del Front National di Le Pen. Le Pen ha ancora dietro di sé dei chierici
che hanno tradito, mentre Bossi non ha nulla, salvo pulsioni selvagge”. Ma Bossi,
ora Salvini, non aveva e ha dietro Milano e la Lombardia – mentre Le Pen padre
era razzista professo?
Umberto Eco, Migrazioni e intolleranza, La Nave di
Teseo, pp. 71 € 7
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